Fino alla vigilia del voto francese la tesi sostenuta da molti analisti economici e osservatori politici era più o meno questa: con la vittoria di Hollande e la fine dell’asse Sarkozy-Merkel perde la linea dell’austerità intransigente alle ragioni della crescita. Il che, era la conseguenza, farà bene all’economia reale e potrebbe essere apprezzata dai mercati. Poi è arrivata la doccia fredda con la giornata di lunedì 23 aprile: Borse al tappeto, spread tra il bund e il btp oltre i 400. E molti analisti economici e osservatori politici giù a individuarne le ragioni così: i mercati temono la fine dell’asse Sarkozy-Merkel e dell’austerità intransigente.

Chi ha ragione? Quelli della prima scuola o quelli che, a fronte della debacle, hanno, constatato i fatti, sostenuto la seconda? Il paradosso è che potrebbero avere ragione tutte e due. La realtà, ancora una volta dimostrata, è che i mercati fanno semplicemente i mercati: riflettono ciò che siamo e che potremmo essere sul medio lungo periodo. Debitori paganti o insolventi, per esempio, nel caso dei titoli di Stato. Soci di capitale in grado di fare utili e dare dividendi, nel caso di azioni. Tutto qui. Chi dice che i mercati dettano la linea politica ai governi, in sostanza, rischia di sostenere una fesseria: i governi, e non mancano le dimostrazioni, non hanno bisogno di consigli. Sanno benissimo sbagliare da soli.

E un errore di gran moda — non solo tra i palazzi della poltiica — è quello di insistere a contrapporre rigore nei conti pubblici e ripresa economica. Senza il primo, la seconda non può che essere, nella più rosea delle ipotesi, asfittica e dai piedi di argilla. Mettere in discussione il rigore è pericoloso e irresponsabile, criticare le ricette per ottenerle, invece, è utile. Non per chiedere nuova spesa, ma per tagliarla. Monti e il suo governo, a costo di ripeterlo fino alla noia, hanno evitato il baratro al paese. Lo hanno fatto con troppe tasse e forse non avevano alternative. Ma credere che solo loro, i tecnici, non abbiano capito che con questa pressione fiscale, non si va lontano, sarebbe troppo ingenuo. Ma, se così stanno le cose, cosa attenderci?

Qualche riflessione utile la fornisce, per esempio, Marco Fortis, in un bell’articolo sul Sole 24 Ore, nel quale, in sostanza, analizza fatti e numeri del Documento di economia e finanza (Def) e spiega come i grossi sacrifici chiesti agli italiani stiano dando risultati.  E conclude: «Solo ottenendo sul campo importanti risultati in termini di risanamento delle finanze pubbliche… dimostreremo alla Germania in modo matematico che la causa vera della crisi dell’euro non siamo noi italiani ma è il vicolo cieco in cui un’Eurozona (messa persino meglio di Stati Uniti e Gran Bretagna) è riuscita stoltamente a infilarsi». Per esempio,  «l’inazione della stessa Berlino sulla Grecia». È solo il rigore — come non essere d’accordo con Fortis —  che si hanno le carte in regola per chiedere ai tedeschi di fare di più per la crescita. E all’Europa di costruire gli eurobond. Magari rispolverando un adagio di Padoa-Schioppa — ricordato da Jacques Delors — in un efficace intervento sul risveglio dell’Ue: «Agli Stati il rigore, all’Europa la crescita». Anche i mercati rifletteranno quanto è giusto.