Il vertice al capezzale dell’euro prevede, come ogni partita che si rispetti, i tempi regolamentari (24-48 ore), i tempi supplementari e il gioco del rigore (non solo nei conti pubblici). Le partite, in realtà, sono due: la prima dovrà portare a casa un risultato rapido, immediato, che convinca i mercati a stare calmi già da lunedì prossimo. Il premier italiano ci conta. Punta a un meccanismo che consenta ai due salva-stati europei, Efsf ed Esm, di acquistare titoli di Stato di paesi «sotto pressione» ma che siano rigorosamente in ordine con gli impegni europei. Una proposta che vede d’accordo praticamente tutti tranne la Germania che, però, su questo punto, avrebbe espresso una cauta apertura.

La seconda partita (il ritorno) è quella che ha in palio la posta più grossa e si basa, fondamentalmente, sulle proposte del quartetto dei presidenti (Draghi, Barroso, Van Rompuy e Juncker) per realizzare unione bancaria, unione fiscale, eurobond, potere di intervento sulle manovre degli stati membri e via dicendo. Mattoni di un’Europa federale la cui costruzione, però, richiederà tempi che i mercati non consentono. E’ evidente, insomma, che senza vincere la prima partita, difficilmente si porterà a casa la seconda in tempi ragionevoli.

Il problema di fondo, però, è che i giocatori in campo almeno teoricamente non dovrebbero essere avversari, ma alleati. Ma così non è o, almeno, così non si sono schierati nei vari gironi infernali nel quale l’Eurozona è precipitata da almeno due anni. Scenderanno in campo:

1) Mario Monti, almeno per la stampa internazionale e per gli ambienti che contano in Europa, sembra il capitano dei salva-euro. Le sue proposte sono note. Il suo feeling con la Merkel anche. Si è detto certo che prima o poi gli eurobond arriveranno, chiede di tenere fuori le spese per investimenti dal conteggio del debito pubblico, vuole un meccanismo antispread entro lunedì. Ha rimesso in sella l’Italia (un po’ meno gli italiani) e ha detto che è disposto a trattare a oltranza. Speriamo non ce ne sia bisogno. E alla vigilia del vertice ha gettato sul tavolo una sorta di veto (o scambio): ‘’L’Italia – ha spiegato – che ha fatto un passo importante dichiarando di non esser piu’ ostile alla tassazione delle transazioni finanziarie di fronte alla richiesta di procedere eventualmente ad una cooperazione rafforzata, cioe’ non a 27, ma per esempio per la zona euro, potrebbe prendere in considerazione questa richiesta ma aderirebbe solo se anche per altri aspetti, come la politica finanziaria di gestione del mercato dei titoli sovrani, ci fosse una cooperazione rafforzata e quindi ci si muovesse ad un livello di cooperazione maggiore”. Tradotto: sì alla TObin Tax se c’è cooperazinoe anche contro il caro spread.

2) Francois Hollande per la Francia. Chiede un patto per la crescita ed è favorevole alla creazione di eurobond. Molto concreti sul piano economico i francesi sono storicamente ben più scettici sulla prospettiva di un’Unione politica. Prima di andare a cena con la Merkel ha dichiarato: ”Dobbiamo approfondire l’Europa
economica e monetaria, domani politica”

3) Angela Merkel. Dall’altra parte del campo la Cancelliera alle strette tra rigoroso controllo dei bilanci e delle banche e, da tempo, sottoposta al pressing perché conceda un po’ di solidarietà finanziaria.  La Merkel, ha, però, ragioni forti: i tedeschi le riforme le hanno fatte da tempo. Negli anniin cui tutti criticavano Berlino o la sbefeggiavano sostenendo che non era più la «locomotiva d’Europa», il cancelliere socialdemocratico Gerard Schroeder varò l’agenda 2010: un profondo programma di riforme che trasformarono l’economia tedesca. Erano malati, si sono curati. E oggi sono di nuovo il paese più forte d’Europa. Pensare di fare uscire la Germania dall’euro, inomma, sarebbe come entrare in campo in nove e senza goleador.
Rispetto alla Francia la Germania è ben più favorevole all’integrazione politica, ma sulle misure economiche pare sapere dire solo due parole: rigore e nein. I critici la accusano di avere costretto tutta l’Europa in una discesa agli inferi provocata dall’austerità. Prima di andare a cena con Hollande ha dichiarato: ”Abbiamo bisogno di piu’ Europa,
un’Europa i cui membri si aiutino fra loro”. La Merkel è talmente contraria agli eurobond da aver chiarito: «Mai, finché sarò viva». Ovviamente, potrebbe essere tutta melina poichè, se dicesse la verità, gli europei potrebbero risparmiare i soldi del vertice.  Qualcosa dovrà concedere o passerà alla storia per la donna che ha distrutto l’euro e mezzo secolo di storia comune.

4) Karlos Papoulias. Un altro giocatore in campo è Karlos Papoulias, 83 anni, presidente della Grecia. Sostituisce il neo primo ministro Antonis Samaras, convalescente per un’operazione a un occhio. Il risultato delle ultime elezioni è stato chiaro: i greci vogliono rimanere nell’euro.  Atene non dovrebbe più rinnegare i termini del prestito internazionale che ha salvato il Paese dalla bancarotta. Chiederà, invece, si spalmare le misure previse su altri due anni, fino al 2016

5) Mariano Rajoy. Per la Spagna gioca Mariano Rajoy, primo ministro e leader del Partito Popolare. Ha lanciato l’sos all’Ue, sperando fino all’ultimo di non doverlo fare: Bruxelles ai primi di giugno ha concesso aiuti fino a un massimo di 100 miliardi in ambio della ristrutturazione del sistema bancario. Oggi Rajoy ha lanciato un altro allarme: a questi tassi — ha detto — non siamo in grado di finanziarci. Batterà i pugni per trasformare in realtà il pacchetto crescita da 130 miliardi discusso al vertice a 4 di Roma, più integrazione fiscale e bancaria ed è schierato con Monti e Hollande sugli Eurobond.

Disposti in campo è evidente che la partita assomigli sempre più a Germania-Resto d’Europa. Sherpa al lavoro prima del fischio d’inizio per evitare che diventi un tutti contro tutti.

Arbitro: il mercato.

Convitato di pietra: il debito pubblico. Affinchè qualunque decisione non diventi un alibi per non fare i compiti a casa: un grosso rischio, anche per l’Italia. Troppo facile dimenticare una verità incontestabile: i debiti non li ha fatti l’Europa.

Guardalinee: Draghi, Juncker, Barroso, Van Rompuy

In tribuna: Kohl, Schmidtt, Delors, Mitterrand, Ciampi, Prodi, Spinelli, Schumann, Adenauer, De Gasperi….

Pubblico pagante: tutti noi