Quella che va a chiudere non è stata una settimana come le altre sul fronte dell’euro, quella che si apre neppure. Per la prima volta da oltre un anno ha riparlato la politica e l’Europa ha ritrovato un leader: Mario Draghi, governatore della Bce. Sono iniziati, insomma, i tentativi di rispondere alle domande cruciali (alle quali chi frequenta il blog è abituato): dove vogliamo andare? Vogliamo ancora andarci insieme? Di questi tempi non è poco.

Il giorno chiave della prossima settimana è giovedì, appuntamento con la Bce, chiamata a riflettere (decidere?) quali armi utilizzare per dare concretezza a quel «pronti a tutto» pronunciato da Draghi e appoggiato dal presidente francese Francois Hollande e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Tra le ipotesi che sono circolate vi sono: un nuovo acquisto di bond di paesi in difficoltà per calmierare lo spread, un maxiprestito alle banche, la licenza bancaria per il fondo salva stati permanente (Esm) o un altro taglio dei tassi.
Sulle barricate il fronte del no, guidato dai rigoristi della Bundesbank, la banca centrale tedesca, che ha scandito forte e chiaro il suo no all’acquisto dei titoli di Stato dei paesi in difficoltà, a sua volta “bocciata” dall’intervento della Cancelliera alle prese con le crescenti preoccupazioni per l’impatto potenziale sull’economia tedesca di un crac dell’eurozona. Scricchiolli ai quali ieri si è aggiunta l’opinione di uno studio dell’istituto americano Inet, che fa capo a George Soros, secondo il quale la Germania «rischia una bancarotta se non accetta la monetizzazione del debito da parte della Banca centrale europea».
L’umore dei mercati lo si inizierà a misurare già da lunedì mattina: è un altro giorno importante, con la visita del ministro del Tesoro americano, Timothy Geithner che veddrà sia il ministro delle Finanze tedesco Schauble, sia il presidente della Bce.