Quel che sta accadendo negli Stati Uniti va preso molto molto seriamente. Non solo per l’aria di recessione profonda che spira dall’altra parte dell’Atlantico, per i prevedibili riflessi sul malandato vecchio Continente e per le mosse della Fed pronta a muoversi per sostenere l’economia. Va preso molto sul serio perché riporta la crisi nel paese da dove tutto ha avuto origine e, per contrasto, mette in evidenza come gli Stati Uniti abbiano problemi più grossi di quelli che affliggono l’eurozona, ma i mercati abbiano finora preferito concentrarsi su questa parte dell’Atlantico. Ma va preso molto sul serio anche perché, per l’ennesima volta, vedremo scendere in campo la Fed, a sostegno dell’economia, con armi che la Bce (purtroppo) non ha.

Negli Stati Uniti si stanno incollando i frammenti di quella che potrebbe essere l’ennesima tempesta perfetta che potrebbe scatenarsi a fine anno se l’amministrazione Usa non riuscirà ad evitare il cosiddetto “Fiscal cliff”, il precipizio fiscale. Di cosa si tratta? A fine 2012 scadono contemporanemente gli sgravi fiscali dell’era Bush, aumentano le tasse, scattano nuovi tagli di spesa. In sostanza si traduce con milioni di dollari in meno per l’economia americana. Abbastanza perché il Congressional Budget Office ieri abbia messo in guardia dal rischio recessione prevedendo che, se non sarà evitato il precipizio fiscale, l’economia americana scivolerà in recessione, il pil nel 2013 segnerà meno 0,5%. Il tasso di disoccupazione salira’ al 9,1% dall’8,2% del 2012, con due milioni di disoccupati in piu’. Tutto questo nel bel mezzo del cambio di guardia alla Casa Bianca. Prevedibile l’impatto sulle altre economie globali, Europa in testa. La frenata americana, finora snobbata dai mercati tanto appassionati di eurozona, spiega per esempio la sostanziale tenuta del dollaro sull’euro: per debolezza a stelle e strisce più che per forza europea. Proprio oggi Markit economics ha previsto che la crescita economica vedrà una contrazione dello 0,5%-0,6% nel terzo trimestre, facendo ricadere Eurolandia nella seconda recessione dopo quella del 2009. E stavolta anche la potente Germania potrebbe subire i colpi della crisi. I segnali non mancano: Bosch e ThyssenKrupp  hanno annunciato di volere ridurre le ore di lavoro dei propri dipendenti. Opel ha deciso di introdurre la ‘settimana corta’ per migliaia di dipendenti a partire da settembre.

Ancora una volta, però, se le cose andranno in questo modo e se l’economia Usa non darà segni di risveglio, vedremo la Fed intervenire. La banca centrale americana ha già fatto sapere che, al bisogno, interverrà. Darà ossigeno all’economia con mezzi che la Bce non dispone. Puntuale, da questa parte dell’Atlantico, si riaccenderà il dibattito su quanto sia opportuno cambiare lo statuto e il mandato della Banca centrale europea. Tutti si diranno pronti a tutto — come per difendere l’euro — salvo non riuscire a mettersi in fretta d’accordo su niente. Copione già visto, lezione deserta.