L’Unione europea, così com’è, non è all’altezza della situazione. La marcia degli euroscettici sul nuovo Parlamento europeo preoccupa molti capi di governo, ma cercare il futuro del vecchio Continente con la testa rivolta a difendere la propria leadership dalle miserie elettorali, rischia di essere il metodo migliore per perdere l’equilibrio mentre si percorre la fune distesa sul precipizio che separa il duro presente da un domani incerto ma forse migliore. Come funamboli con il sole negli occhi, abbagliati da un solo dato del risultato elettorale, accecante al punto da nascondere l’orrizzonte indicato dai quattro quinti dei 380 milioni di europei che si sono recati alle urne: si tratta di 300 milioni di persone che, domenica scorsa, hanno votato per proseguire sul cammino dell’integrazione europea. Non solo nella Germania Felix di Angela Merkel, ma anche in paesi che hanno pagato un prezzo alto alla crisi: Irlanda, Spagna e Portogallo, per esempio, ma anche quell’Italia nella quale, affidando oltre il 40% dei consensi a Matteo Renzi, gli elettori hanno scelto di volere più Europa e non meno. Discorso a parte riguarda Grecia, Francia e Gran Bretagna: Atene ha visto l’affermazione della sinistra antieuro di Tsipras, forza schierata contro l’Europa della trojka e per questo arruolata in fretta e furia tra gli euroscettici, ma ben diversa dalle legittime istanze politiche di partiti come la Lega Nord e il Movimento 5 stelle, il Front National di Marine Le Pen o l’Ukip del britannico e istrionico Nigel Farage.

Il successo dei lepenisti in Francia è indubbiamente frutto delle scelte anti europee, ma anche della particolare situazione politica francese stretta tra un Ump in cerca d’autore dal tramonto di Sarkozy e le macerie del partito socialista travolto dai guai della presidenza Hollande. Farage, d’altro canto, siede da tempo nel Parlamento europeo – dove la pattuglia euroscettica è raddoppiata ma è presente dal 1965 – e non è che il rappresentante di un paese, la Gran Bretagna, che è pilastro della storia europea ma ha un rapporto da sempre particolare con il resto del vecchio Continente: ha dato al mondo la Magna Charta, la prima Costituzione e il primo servizio sanitario pubblico. Londra è l’unica piazza finanziaria globale in terra europea, il mercato più importante per i titoli di Stato. Ma Oltremanica l’euro non c’è, pur essendo moneta che circola abbondantemente nei negozi, c’è la sterlina. La Tatcher voleva indietro i suoi soldi (i want my money back) quando parlava con Bruxelles. Blair – l’altro leader che ha plasmato il paese oltre alla lady di ferro e a Winston Churchill – si schierò apertamente a favore dell’euro, ma scelse di non imporlo. E non ci sarebbe riuscito. Farage, insomma, nasce qui e non lo si può scindere da un sentimento diffuso di un’isola ben raccontato dal modo in cui la Bbc illustrava le previsioni del tempo: nebbia sulla Manica, il Continente è isolato.
Ora Marine Le Pen, Matteo Salvini, Gene Wilders e alleati hanno deciso di costituire un gruppu unico al Parlamento europeo: gli mancano solo altri due (di due paesi diversi) per riuscirci. Fare gruppo fa la differenza: fondi e mezzi, prima di tutto. Pagati in euro (forse in sterline) e non in fiorini, franchi, travel cheque o valute celto-padane. Come terranno insieme il nazionalismo di alcuni con il federalismo di altri si vedrà. Staremo a vedere anche come finirà quando si tratterà di discutere la politica agricola comune nel gioco degli interessi non solo dell’Europa con il resto del mondo, ma anche tra Francia, Italia, Germania (e Paesi Bassi). Problema, quest’ultimo, non solo degli euroscettici.
Anche Farage e Grillo si sono incontrati: la loro idea – almeno da quello che è trapelato – di fare fronte (e gruppo?) comune garantendosi ampia autonomia politica suona più realistico. “Un matrimonio di convenienza” lo ha definito lo stesso blog del leader a 5 stelle.
Il resto d’Europa, però, è fatto dai quei 380 milioni di europei che hanno deciso di andare avanti insieme: sarebbe saggio dare loro le risposte che vogliono e cercare soluzioni a una crisi che ha provocato dolore e sofferenza fin nelle viscere, ma non ha fatto perdere le speranze. Renzi pare esserne consapevole, la Merkel un po’ meno. Il treno è arrivato, potrebbe essere l’ultimo