UN DOCUMENTO che rompe una prassi consolidata, quello del Fmi. Un ultimatum all’Europa sul piano di aiuti alla Grecia, certo. Ma soprattutto, rileva l’ex direttore esecutivo del Fondo per l’Italia Andrea Montanino, «segno che gli Stati Uniti non stanno più alla finestra». E, da direttore del Global Business and Economics Program dell’Atlantic Council di Washington, ha un punto d’osservazione privilegiato.
Il pressing degli americani, primi azionisti del Fmi, cresce. La diplomazia non basta più?
«Gli Usa hanno sempre usato il Fondo per sostenere l’Europa. Adesso si rendono conto che, di fronte alla gestione caotica e priva di leadership della crisi greca, devono far sentire chiaramente la propria voce».
Il documento del fondo guidato da Lady Lagarde è inusuale?
«È la prima volta che il Fmi produce questo tipo di analisi al di fuori di un rapporto di sorveglianza tradizionale. Normalmente, è un allegato tecnico che si fa al termine di ogni review e presentato al board. Questa volta è a sé stante e privo dell’approvazione del board. Un elemento che fa capire il livello dello scontro e della tensione in questo momento».
Il Fmi si chiama fuori?
«Non può versare i soldi alla Grecia senza una ristrutturazione del debito. Questo in base ai regolamenti, perché il Paese non è sostenibile».
Non lo era nemmeno nei precedenti piani di aiuti…
«Non lo era ‘con alta probabilità’ ora è insostenibile con certezza. Allora venne utilizzata la clausola sistemica, inventata in una notte, perché si rischiava la disgregazione dell’euro. Inoltre, adesso c’è in ballo anche la riforma del Fmi al Congresso americano».
Questo si traduce in una maggiore rigidità?
«L’amministrazione Obama vorrebbe portare avanti la riforma, ma i repubblicani frenano. Quindi, non vuole far passare l’idea che si diano i soldi al Fmi che poi li perde nella Grecia o aiuta troppo gli europei. Gli Usa sono l’unico Paese che non l’ha ancora ratificata».
Nella trattativa per eviatare la Grexit, dietro Hollande pare ci sia stata la sponda di Obama. C’è un nuovo asse?
«Forse la Francia ha preso atto di una situazione inevitabile. La Grexit è temuta da tutti perché è un’incognita, e una sconfitta per gli attuali leader europei».
Però l’ipotesi Grexit è stata scritta nero su bianco dalla Germania: si è infranto un tabù.
«Sicuramente. L’Europa adesso non sarà più la stessa, tutti sanno che uscire dall’euro è un evento che si può realizzare».
Il segretario del Tesoro Usa è in tour europeo: incontri con Draghi, Schaeuble e Sapin…
«Lew continuerà a spingere per un accordo sostenibile. È un bene che gli alleati Usa siano in Europa in questo momento cruciale».
Kissinger cercava un numero per chiamare l’Europa. Qual è adesso il numero da chiamare?
«In questo momento l’unico vero numero da chiamare è forse quello di Draghi, colui che ha veramente tenuto unita l’Europa mentre la politica ha dimostrato che siamo lontani da un’Ue federale».
In tutto questo l’Italia è rimasta ai margini…
«Era in una posizione ottimale per assumere un ruolo di leadership nella trattativa: ha conosciuto le difficoltà della crisi e ha fatto i compiti. Ma non è stato così».
Adesso qual è la via d’uscita?
«Prestito ponte e inizio del programma di aiuti. Immagino che il Fmi non potrà essere della partita nella prima fase, almeno finché il tema del debito non sarà definito chiaramente».