FASE UNO: Tasi-Imu e costo del lavoro. Si muove su questi due binari il pacchetto fiscale in rampa di lancio dal 2016. Sì perché, oltre all’intervento sul mattone, il governo sta studiando il rinnovo degli sgravi sulle assunzioni che scadono a fine anno.

SUL FRONTE lavoro, l’intenzione politica è sempre stata quella di rinnovare una forma di agevolazione alle imprese che assumono per evitare di tagliare le gambe al neonato Jobs Act. L’ostacolo è, come sempre, quello delle risorse. Lo stesso viceministro dell’economia, Enrico Morando, aveva ammesso che rendere lo sgravio strutturale così com’è sarebbe troppo oneroso. Così sul tavolo del premier arriveranno in questi giorni tre proposte alternative: rinnovo per il 2016 degli sgravi Irap sui neoassunti nella stessa forma di quelli in scadenza; stesso tipo di intervento ma localizzato geograficamente sul Meridione (ipotesi caldeggiata dallo stesso ministro Padoan); oppure un intervento generalizzato sul fronte dei contributi previdenziali.

QUESTA TERZA ipotesi è quella che sta riscontrando più sponsor anche perché, spiegano nel giro renziano, «dopo lo choc, si farebbe un intervento strutturale, si inizierebbe l’opera di defiscalizzazione dei contributi sociali». Ogni punto di defiscalizzazione su tutta la platea (non solo i neoassunti) costerebbe 2,2-2,3 miliardi. Dunque, sarebbero difficilmente realizzabili le cifre circolate nei giorni scorsi di un taglio di sei punti del cuneo contributivo (3 a favore del datore di lavoro e 3 a favore del dipendente), costerebbero oltre 13 miliardi. Se si riuscisse a tagliare due punti (uno all’azienda e uno al dipendente), è il ragionamento, sarebbe già un buon inizio. Costo per le casse dello Stato: quattro miliardi e mezzo. Il dipendente avrebbe la doppia opzione di trovarsi lo sconto (tassato) in busta paga o dirottarlo verso un fondo di pensione integrativa, poiché l’altro lato della medaglia saranno pensioni più leggere un domani.

SUL VERSANTE casa, invece, il taglio della Tasi sulla prima casa (Imu per quanto riguarda le case di lusso, ville e castelli) vale 3,5 miliardi, conto che sale a 4,3 con lo stop a Imu agricola e tassa sugli imbullonati. Il mancato gettito per i Comuni, assicurano dal governo, sarà a carico dello Stato. Attraverso maggiori trasferimenti, magari attribuendo ai sindaci l’intero gettito dell’Imu sui capannoni industriali (ora diviso al 50%) ma, in ogni caso, senza toccare il prelievo sulle seconde case. Un’ipotesi tecnica quest’ultima che è sul tavolo ma che è osteggiata in primis dal premier, che non vorrebbe annacquare il senso dell’operazione, e cioè il taglio delle tasse.

UN’OPERAZIONE che si interseca con la Local tax, la tassa unica che porterà a una semplificazione di aliquote e agevolazioni delle imposte locali. Dall’imposta unica resteranno fuori Tari (rifiuti) e tributo su affissioni e occupazione del suolo pubblico mentre, proprio a causa dell’eliminazione della Tasi sulla prima casa, è in bilico lo scambio tra addizionali Irpef (che nell’ipotesi originaria dovrebbero tornare allo Stato) e Imu sui capannoni industriali (il cui gettito seguirebbe il percorso inverso). Tutti i fili sono legati tra loro, starà al premier decidere la trama finale.