IL GOVERNO corre ai ripari per spegnere l’ennesimo incendio divampato sulle banche: salgono da 7 a 18 le rate non pagate del mutuo per far passare la casa nelle mani della banca e viene specificato che le nuove norme non si applicano ai contratti in essere, nemmeno alle surroghe. Il pacchetto di modifiche al decreto che recepisce una direttiva europea, confluirà in un parere della maggioranza martedì prossimo in commissione Finanze alla Camera. Lo ha spiegato giovedì il capogruppo Pd Ettore Rosato, con Michele Pelillo (capogruppo in Commissione) e Giovanni Sanga (relatore del decreto): «L’avremmo depositato ieri se i 5 Stelle non ci avessero impedito fisicamente di farlo. Un fatto gravissimo». Si tratta di un parere non vincolante, ma il Pd assicura che il governo è d’accordo e recepirà le modifiche.

MA COSA cambia in concreto? Innanzitutto, viene specificato che le rate non pagare necessarie per far scattare il cosiddetto «inadempimento» saranno 18 e non sette come si poteva dedurre dal riferimento contenuto nel decreto all’articolo 40 (comma 2) del Testo unico bancario (cioè le norme in vigore oggi). Il Tub però fa riferimento ai ritardati pagamenti (che possono non essere consecutivi) mentre ora si parla di «mancati pagamenti»: quindi 18 rate corrispondono a 18 mesi perché, spiegano, «il mancato pagamento ha carattere di continuità». Dopodiché, si assicura che verrà cancellato l’aggettivo «successivamente» in riferimento alla conclusione del contratto di credito, eliminando qualsiasi ambiguità sulla retroattività delle norme che, in ogni caso, si applicano in modo facoltativo, cioè solo con accordo tra le parti. Viene poi disciplinato per legge il ‘patto marciano’, già riconosciuto dalla giurisprudenza: la banca può trattenere dopo la vendita della casa solo quanto ancora dovuto ed è obbligata a restituire al consumatore l’eventuale eccedenza.
INOLTRE, il trasferimento dell’immobile alla banca, a seguito dell’inadempimento, comporta l’estinzione del debito anche se il valore è inferiore a quello del debito residuo, «si evita così la procedura giudiziaria con risparmi di spesa per il cittadino e il deprezzamento del bene immobile». Elemento questo migliorativo rispetto alla procedura esistente adesso dove, in caso il valore della vendita sia inferiore al debito, resta aperta la posizione debitoria presso la banca. Altra novità: la valutazione della casa deve essere fatta da un perito indipendente nominato dal tribunale (non più scelto dalle parti in comune accordo). Resta il fatto che lo scattare della clausola prevede che non si passi più davanti a un giudice per l’esproprio della casa. Motivo per cui i grillini (dopo l’occupazione della commissione che è costata 11 deputati sospesi) non sotterrano l’ascia di guerra: «Il governo ritiri il provvedimento», tuona Luigi Di Maio alla guida della protesta sotto il Tesoro.

LO SCONTRO politico rischia di creare un cortocircuito normativo, facendo perdere di vista l’obiettivo di fondo: bilanciare la tutela del consumatore e il diritto del creditore a tornare in possesso del proprio capitale in tempi ragionevoli. Fino a pochi mesi fa sembrava imperativo snellire le procedure fallimentari e risolvere il problema delle sofferenze: senza alcuna polemica l’estate scorsa è è stato approvato il provvedimento sulla riforma del diritto fallimentare con importanti novità che riguardano le aste immobiliari, che oggi durano anche 8-9 anni. E tra le novità è già nell’ordinamento la possibilità che le banche subentrino nelle proprietà senza dover ricorrere a società terze per partecipare alle aste come accadeva fino al luglio scorso. Ma ora c’è campagna elettorale, e il polverone spesso offusca la razionalità necessaria su temi così delicati e sensibili.