L’Abruzzo mira in alto. E riparte dalle vette. Per riprendersi da cima a fondo (valle). E’ la reazione indotta dal sisma maledetto. Che non ha piegato la testa e le corna del Gran Sasso. Ieri, domenica d’agosto, il tetto dell’Appennino brulicava d’alpinisti ed escursionisti. Da tutta Italia. Standing ovation per la montagna. Standing ovation per il Comune di Pietracamela. Dove, al curvone per i Prati di Tivo, spiccavano due container arrugginiti ma pure le casette verniciate di fresco del Governo Berlusconi. Il terremoto è morto e sepolto, perché da quelle abitazioni il paese era un formicaio di turisti, su e giù per i grappoli di case in pietra di uno dei borghi più spettacolari del globo.

Una Machu Picchu appenninica,  con alle spalle il signore della catena: le vette del Corno Grande e del Corno Piccolo e i picchi acuminati dell’Intermesoli. Ma è nell’anfiteatro verde e color dolomia dei Prati di Tivo che s’apre il sipario sul rinascimento dell’Abruzzo e della provincia di L’Aquila: un’invasione di mountain bike, patiti d’alpinismo e trekking e cacciatori di vie ferrate. La telecabina della Madonnina, un prodigio per gli impianti di risalita in Appennino, porta in braccio al colosso. E un’ascetica processione di escursionisti, in un arcobaleno d’età e condizione fisica, arranca per la valle delle Cornacchie.

Il Golgota è uno stradello di tornanti, poi mulattiera, poi sassaiola, poi sentiero attrezzato, poi virgole rocciose di cenge e paretine. Che ti consegnano alle crode dell’Appennino Centrale. E’ il biglietto d’ingresso per il paradiso, in barba al rabbioso singulto del terremoto. “Non abbiamo trovato un posto neanche a morire”, sbuffa sudato fradicio un ragazzo col caschetto e lo zaino. Riattacca: “A valle, più a monte, nel versante di Prati di Tivo e di Campo Imperatore, Assergi compresa, non c’era l’ombra d’un solo posto letto: mi è toccato andare fino a Montorio al Vomano, che è un pezzo giù”.

Sold out, e lo si tocca con mano, gli albergoni sotto il Corno Piccolo. Ma a soccorrere gli irriducibili e i lottatori dell’alpe ci pensa il lupo del Gran Sasso, Luca Mazzoleni, il custode della montagna. Gli arrampicatori dell’ultima generazione e gli assetati delle alte vie conoscono il suo viso affilato e scolpito dall’esperienza. Quasi un Corno Piccolo in carne ed ossa. Luca è il gestore del Franchetti, il rifugio dei record dell’Appennino. Senza teleferiche e funivie, lo staff dell’avamposto a valle della Sella dei Due Corni s’incolla alle spalle chili e chili di cibarie, per rimpinguare le stive del Franchetti. Luca e i suoi ragazzi sfamano le truppe d’assalto all’Alpe. Dalla mattina alla sera. Quando, sulla capanna dove sventola il tricolore, la zuppa fumante nella ciotola è il segnale che anche oggi la battaglia con appigli, camini e traversi è cessata. E che, alle sette, tra poche ore, i cannoni della passione riprenderanno a sparare su creste, terrazzini e pareti compatte come il mefistofelico Cerro Torre.

La tappa al Franchetti è un rituale non scritto nel diario dell’alpinista: ma tu sai che tra quelle pareti Luca può consigliarti. E l’indice, affilato come una torre della catena, non si sbaglia. Il Franchetti è una frontiera con l’eden: per guadagnartelo ci vuole pazienza. Che non manca a migliaia di persone.

Ieri mattina, una signora claudicante, capelli bianchi, bastoncini alla mano, si godeva il panorama, arrampicando per la valle delle Cornacchie. Era uno dei centinaia di prodigi di questa montagna abruzzese. Che ha saputo compiere un miracolo: seppellire il ricordo delle tendopoli. Della Fonte Cerreto sfollata dal sisma. Di una stazione turistica spazzata via dal terrore. Ieri mattina, a quest’ora, la vetta occidentale al Corno Grande (quota 2912) era un terrazzo affollato di escursionisti. Guardavano a valle. Verso l’Aquila. E la montagna, lì, immobile, aveva tutt’altro che di un’ineffabile sfinge. Quasi se la rideva. Ironica. Schiacciando ai suoi piedi le briciole del sisma. Più tronfia e vittoriosa che mai. Sprezzante dell’urlo malefico del cuore della terra.