Un viaggio allucinato. E allucinante. In un treno ancora più allucinante. Che non è la carrozza di Tex e neanche il barcone di “Lamerica” di Gianni Amelio. E’ un regionale (veloce o non veloce non lo so) che la sera, dopo le dieci, arranca da Ancona a Rimini. Una specie di letamaio itinerante. Non c’è legge, là dentro. Nessuno osa muovere un dito: ci sono la demenza ridens, l’insulto gratuito, le mignotte di tutti i colori. E, soprattutto, la legge di nessuno. Teoricamente sarebbe anche un trenino per pendolari, in verità è una moderna carrozza che porta al paese dei balocchi (farlocchi): Rimini. Un inghiottitoio di alcol, birre, rutti sguaiati e fetidi, rumori posteriori e ragazzotti che non fanno pena neanche un po’. Ti guardano in cagnesco, incavolati col mondo, con la madre, il padre, Dio (perché lo glorificano ad ogni sillaba) e tu. Che sei lì a guardarli come un ebete incredulo.

Ma dove diavolo se ne vanno? Che cos’hanno in quelle teste, che siamo stufi, stufi marci, di capire e giustificare? Se questo è turismo, qualcuno (ma chi?) ce ne scampi. E il fatto che posino i loro sederini in treno piuutosto che in macchina non giustifica che i convogli debbano essere immondezzai senza, almeno, uno straccio di consuetudine se non legge scritta. E piantiamola anche con questa colossale menata degli spazi che non ci sono: che uno vada fino alla riviera con tre bottiglie di birra in mano non è una questione di esigenza vitale, ma di distruzione assistita.

Il bello è che questo traffico di poveri disgraziati avviene sotto gli occhi tutti, nelle stazioni. E tutti se ne fottono allegramente: il treno è la lavatrice di ogni peccato. Meglio lì dentro che fuori, si blatera, magari morti ammazzati alla prima cavolata al volante. Saliteci, su quei treni. Che, forse, sono la nuova frontiera del disagio. Capiamo che c’è dentro. Che cosa circola. Perché quel viaggio non possa diventare l’ultimo. Di una assurda vita consumata nel nome d’un sistema binario. Di numeri. Senza parole.