Un libro non si giudica dalla copertina, ma se le prime pagine non ti catturano puoi star certo che ben presto lo dimenticherai su un tavolino o sopra quello scaffale in alto ormai da tempo impolverato. La metafora letteraria è d’obbligo visto che qui stiamo parlando di ‘Masterpiece’, l’ultimo talent sbarcato in tv. Il programma (per chi l’avesse persa, la prima puntata è andata in onda domenica scorsa in seconda serata su Rai 3) si prefigge il compito di scovare e dare alle stampe un nuovo bestseller tra le migliaia di romanzi custoditi nei cassetti di sconosciuti autori. Un’idea che ha fatto storcere il naso a molti, ma che ha anche suscitato apprezzamento perché – si è detto – era giunto il momento di far cadere anche quest’ultimo tabù della sacralità della letteratura.

Peccato solo che ‘Mastepiece’ – almeno al suo esordio – non abbia centrato l’obiettivo. Il fulcro della trasmissione non è stato infatti l’ipotetico “capolavoro” a cui allude l’altisonante titolo inglese, quel mix perfetto di prosa e trama che avvince il lettore, bensì gli aspiranti scrittori. Davanti ai telespettatori sono passati personaggi che sembravano essi stessi creati dalla penna di un autore (del programma?). Con il passare dei minuti, poi, si è scoperto il loro vissuto tragico secondo il più classico dei cliché (magari non voluto) che solo la sofferenza può dare origine all’arte. Quindi li si è visti in un contesto a loro estraneo dove sono stati chiamati ad assorbire esperienze ed emozioni, che hanno dovuto raccontare ai giudici in un breve lasso di tempo. Il tutto inframmezzato da intervistine-monologo davanti la telecamera, dai consigli del coach amico e dai dubbi instillati da una voce fuoricampo.

Impossibile, quindi, non chiedersi perché invece di ‘Masterpiece’ non l’abbiano chiamato ‘The writer’ (lo scrittore). In fondo a ‘Masterchef’ vince il cuoco e non la ricetta, a ‘X Factor’ e ‘The voice’ il cantante prima del brano, ad ‘Amici’ il ballerino mica la coreografia. Quindi perché, in questo caso, il protagonista non dovrebbe essere l’aspirante scrittore di cui viene valutato il modo in cui usa le parole e la fantasia attraverso una serie di prove? Il risultato, alla fine, non cambia: lo si premia comunque permettendogli di pubblicare un suo romanzo inedito (lo stesso con cui si è presentato e che gli ha fatto superare le selezioni), ma almeno si confessano chiaramente i propri intenti senza scomodare la grande letteratura e abusare del termine ‘capolavoro’. Come un libro non va giudicato dalla copertina così per un programma non basta la prima puntata, ma se le premesse verranno mantenute sarà il caso di ridimensionare le aspettative. Anche perché l’Italia è un paese di scrittori, non di lettori.