La Liberazione di Piréin.
Mio suocero è del '25 ed è stato un partigiano. Quando la guerra è cominciata era poco più che un ragazzino, la sua era una grande famiglia di contadini come ce n'erano tante in Emilia: di giorno lavoravano in campagna o nella stalla, di notte accompagnavano lungo i sentieri da Soliera all'Appennino quelli che dovevano passare il fronte e andare in Toscana, dove c'erano già gli Alleati. Erano piloti (inglesi e sudafricani, per lo più) sopravvissuti all'abbattimento del loro aereo, o disertori tedeschi. Tutta gente venuta da lontano, mai visti prima e mai più incontrati in seguito: ma si fidavano di quei ragazzi che prendevano quelle fughe silenziose nella notte come una normalissima avventura, più divertente che pericolosa. In quei cinque anni mio suocero (e come lui tanti altri) era diventato qualcosa di molto, molto diverso dal ragazzino di campagna che aveva visto scoppiare la guerra: aveva visto morire amici e nemici, aveva rischiato la pelle combattendo e imparato che poteva cambiare le cose e che non tutti quelli “dall'altra parte” erano cattivi – così come non tutti quelli che si dicevano dalla sua erano buoni. Aveva fatto la sua parte per far nascere un mondo nuovo, ma qualcuno non lo avrebbe mai visto: tanti ragazzi come lui con i quali aveva passato giorni e notti, tanti altri che erano morti in divisa chissà dove e chissà perché.
E non ci sarebbe stato neanche Piréin, in quel mondo tutto nuovo: che era solo un cavallo, ma quando mio suocero mi racconta come è finito gli vengono ancora i lucciconi agli occhi e anche io me li sento pizzicare un po', quando lo ascolto. Era il figlio della loro cavalla tuttofare: buona per il carretto del fieno come per l'erpice, ogni tanto un puledro da tirar su e magari vendere se veniva bene, da chiamare con quel nomignolo buffo e affettuoso che da noi si usava per tutti i piccoli di casa, a due gambe o quattro zoccoli che fossero.
Piréin in quell'unica fotografia che ho visto di lui non sembrava proprio bellissimo, devo essere sincera: mantello tra grigio e roano, un pochino “scucito”, poco armonico – ma magari era solo stato immortalato in uno di quei momenti di crescita che non sono mai felicissimi, né per i puledri né per i ragazzi. Però era sicuramente molto simpatico: in quella piccola foto in bianco e nero ha tutta l'aria di ridere insieme ai due bei giovanotti che gli stanno vicino, mio suocero e suo fratello. Erano loro che lo portavano in campagna dietro la madre attaccata, erano loro che lo portavano al fiume per lavarlo montandolo a pelo e in capezza, che “...non so poi mica cosa voglia dire domare un cavallo, noi li tiravamo su così dietro la cavalla che lavorava e un bel giorno provavamo a mettergli la briglia, a montargli in groppa, piano piano ad attaccarli: ma ce li trovavamo già domati per conto loro quando li tiravi su in casa come si faceva allora. Lui, Piréin, era bravissimo: mai uno sgarbo, mai una paura, certe volate con lui a pelo e sulle carrate di campagna, senza nemmeno la briglia! era il nostro divertimento”.
Poco prima della Liberazione (che da noi è stata il 22 aprile 1945), gli aerei inglesi tratti arrivarono a mitragliare una fila di mezzi agricoli coperti dai teloni, scambiati probabilmente per carri armati mimetizzati: uno dei colpi arriva sotto la “tésa”, dietro il fienile: Piréin era lì sotto all'ombra, era abituato ad uscire fuori dallo stallino da solo spostando col il naso il ferro che gli avrebbe dovuto chiudere il passaggio e se ne andava a brucare attorno a casa, per poi ritornare dentro da solo quando gli faceva più comodo. Il maledetto proiettile (o il maledetto caso?) gli prende un anteriore e glielo spezza poco sotto il ginocchio. A guardarlo era una disperazione, stava buono e aspettava che qualcuno lo aiutasse che lui si fidava, lo sapeva che quei ragazzi trovavano sempre il modo di risolvere le cose....ma quella volta no, c'era solo una cosa che potevano fare per aiutarlo ed era quella di non farlo soffrire. Così mio suocero è andato in casa, ha preso il suo revolver ed è andato a uccidere Piréin, che lo aspettava sotto la tésa del fienile e non avrebbe più visto la fine della guerra.
Era solo un cavallo, è vero: ma allora perché anche oggi mi pizzicano gli occhi a guardare quella fotografia?