Cavalli e altri amici

Un dicembre così non l’avevo mai visto.

Pensavate che fossi sparita, vero? o che qualche logorroica chiacchiera mi fosse andata di traverso, stoppando all'infinito le mie ippo-condriache esternazioni...e invece no, era solamente un banalissimo incidente tecnologico (leggi: scheda video del povero vecchio pc mandata in fumo da qualche strapazzoso sparatutto del mi' benedetto figliolone) sommato ad un mese di negozio quasi full-time.

Già, perché questo vuol dire essere una giornalista pubblicista: avere la buona stella di scrivere per qualcuno ma rimanere con i piedini ancorati al mondo reale grazie ad un lavoro prevalente "altro".

Che nel mio caso da settembre 2012 è far la spacciatrice di lambruschi, e alla tenera età di 45 anni sto imparando da zero come si lavora in una attività commerciale (e per fortuna mi hanno messo a fianco un angelo custode che di nome fa Giovanni, altrimenti sarei persa) e qualcosa di quello che c'è dietro e dentro una bottiglia di vino.

La cosa buffa è che a me non piaceva nemmeno il Lambrusco, ho sempre preferito i rossi fermi anche se sono nata nella Patria del Sorbara che mi sembrava così banale, così poco interessante. Invece sto scoprendo che è qualcosa di quasi unico (un rosso frizzante è cosa per nulla comune, al di fuori della mia Emilia) e che lavorare in un negozio ti dà la possibilità di vedere tanta gente e quindi fare tante, tante chiacchiere.

E provate a indovinare dove vado a parare, appena ne ho la possibilità? dalle parti di un cavallo, ovviamente.

Niente di più facile, visto che il negozio (chiamiamolo così, ma è riduttivo) è stato pensato per avere una forte connotazione locale in un posto che ancora oggi si tiene ben legato alle proprie radici agri-culturali (sic) e attira gente che o viene direttamente dalla campagna, o ha  voglia di tornarci - anche se soltanto attraverso il profumo di un buon bicchiere di vino.

Così sto raccogliendo i ricordi di tutti quelli che hanno qualche cavallo che gli è rimasto nella memoria e un po' di voglia di raccontarlo. Strano sentire come li tirino fuori dal cuore invece che dalla testa, uno penserebbe che certe cose si abbiano a ripescare tra i neuroni ma comincio a nutrire dubbi in proposito; sarà che quando me ne parlano le parole escono sempre fuori scaldate da qualcosa che sta a metà fra il rimpianto e la nostalgia.

Così ho conosciuto Ben Hur, l'ultimo cavallo dell'ultimo carrettiere di Nonantola che testardamente rifiutava di comprare un camioncino ancora negli anni '50 e aveva chiamato quel grigio per bene, educato e rispettoso, con il nome del filmone che imperversava in qui giorni e che vedeva altri grigi attaccati fare la parte dei protagonisti in una epica corsa di bighe. Ben Hur finì  i suoi giorni a causa di un incidente domestico: avevano messo la luce elettrica anche nel suo stallino, ma un contatto causato dalla tecnologia molto rudimentale lo spaventò e lui si ferì gravemente, costringendo il proprietario a por fine alle sue sofferenze.

O il cavallino da lavoro che un ragazzotto d'una volta (molto vivace anche adesso che sono passati una buona sessantina d'anni, a dire il vero) montava di straforo per giocare a fare il cavaliere, a pelo che la sella era un orpello da signori. Il giovinotto evidentemente era un po' troppo vivace per il cavalluccio abituato alle più sensate richieste del resto della famiglia, e dopo un paio di uscite aveva trovato il modo di liberarsene: puntava dritto verso gli alberi di pere e ce lo lasciava appeso, passando sotto a tutti i rami più bassi per liberarsi la schiena da quel po-po' di ruschena. Il bello è che adesso l'ex-giovinotto dà perfettamente ragione al suo antico cavallino, e ride ancora mentre ricorda "Mo' quànti volti a-g'ho dètt minga andér in t'al pirér, c'att ciàpèssa!...." con l'aria di non aver mai più fatto niente di così divertente in vita sua.

O quei due fratelli che gentili davano un passaggio sulla loro baracchina a chi trovavano lungo la strada verso Modena, che era lunga e assolata e polverosa...ma solo se i viandanti erano vestiti di bianco, e solo mettendoli in mezzo tra loro due e solo facendo andare poi il cavallo di buonissimo trotto a centrar tutte le buche: così quello che stava in mezzo si ritrovava col vestito tutto inzaccherato, e doveva anche ringraziare per il passaggio.

Storie così, piccole piccole e semlici semplici: ma mi fanno sempre vedere che il cavallo era qualcosa di più vivo, di più vicino e di  più caro di tutto il resto, un pezzo di mondo più speciale degli altri e che anche dopo tanti anni rimane lì dove stanno i ricordi più belli, quelli che quando li tiri fuori sanno ancora di cuore.

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