Il ratto dei Tolfetani.
I Monti della Tolfa sono nati da un vulcano e se ne stanno appollaiati a metà strada tra tutto: tra Roma e la Toscana, tra il mare e il lago di Bracciano, con i piedi nella campagna romana e la testa lassù per aria fino a 600 mt.s.l.m. Sono aspri, ricchi solo di miniere di caolino e alunite e sassare. Caolino e alunite hanno fatto campare cave e miniere della Tolfa per 500 anni, le sassare invece hanno pensato al cavallo Tolfetano. Che è stato dimenticato quassù da sempre, sin dai tempi in cui i Saraceni sbarcavano sulle vicine coste del Tirreno e arrivavano coi loro piccoli, spigolosi e robustissimi cavalli Berberi: ma mentre in pianura gli allevamenti più ricchi di pascoli producevano il cavallo Romano (antesignano del nostro Maremmano, dato che la maremma laziale e quella toscana venivano considerate praticamente una unica regione dal punto di vista allevatoriale) e lo raffinavano man mano con immissioni di sangue andaluso, orientale e via discorrendo sui monti della Tolfa si erano arrampicati solo cavallini rusticissimi, estremamente resistenti, che si accontentavano dei pascoli più marginali e poveri ed erano considerati buoni per il basto o poco più . Per poco più si intendeva l’uso comune, il servizio per i butteri locali che non si vedevano contendere da nessuno i loro soggetti a dir poco essenziali nella morfologia.
Questo almeno sino a 25 anni fa: quando un gruppo di amici con base a Ponzano Romano, un comune più verso l'interno del Lazio, pensò che per le passeggiate sui sentieri delle loro belle colline un cavallo come il Tolfetano sarebbe stato l’ideale. Appassionati com’erano di monta tradizionale maremmana hanno ricostruito un binomio filologicamente ineccepibile, essendo il Tolfetano molto più simile ai vecchi cavalli dei butteri di tutte le Maremme dei soggetti ormai decisamente più eleganti e sportivi allevati oggi in Toscana: e tanta cura hanno messo nello scegliersi i soggetti migliori che il primo stallone approvato in razza è stato Fulmine, uno dei Tolfetani di Ponzano.
Siamo stati lì a fine aprile, una giornata splendida di primavera: i pascoli ricchissimi la raccontano lunga sulla bellezza dei puledri che possono far crescere, non c’è da stupirsi se questi Tolfetani hanno perso un po’ di spigoli e ruvidezza per mettere in mostra mantelli lucidi come castagne e accenni di muscolose rotondità. Alessandro Volpi e Mauro Perni, Guido Di Marzio e tutti gli altri amici ci portano a conoscere i loro cavalli, i loro posti, un angolo inaspettato di paradiso a quaranta minuti di macchina dal caos di Roma che parte da Ponzano Romano e arriva sino alla Sabina. Passiamo la giornata parlando di cavalli e guardando cavalli: sono tranquilli, pazienti, aspettano legati ad una staccionata che sia ora di uscire in passeggiata o tornare nel box, si vede che il loro addestramento è stato curato con la pazienza certosina di chi non ha dimenticato le qualità indispensabili a un buon cavallo da lavoro.
Mauro me li racconta mentre andiamo a cercare le cavalle sul al noceto, vicino alle piccola e incantevole abbazia benedettina di Sant’Andrea in Flumine. Arranco nell’erba color smeraldo alta fino ai gomiti e intanto seguo le sue parole, Mauraccio ha l’abilità di dosare l’intensità della sua cadenza laziale a seconda del tipo di attenzione che vuole risvegliare in chi lo ascolta. Adesso è rigorosamente in versione fustagno-e-bardella, uno potrebbe anche chiudere gli occhi che lo stesso vedrebbe butteri ordinati montati su cavalli bai oscuri e attenti, come sono lui e i suoi amici. «So’ cavalli schizzosi» spiega Mauro, «facili da montare se addestrati bene come Pallante, ex-stallone: lui è un campione se lo monta un campione, ma se lo monta un bambino mi viene dietro come un cagnolino. Il cuore della razza è la Tolfa ma i primi li abbiamo mercati noi, siamo stati i primi a crederci. Il Tolfetano lo abbiamo scelto perché è un cavallo ideale per questo territorio, anche per quello che riguarda i suoi dati biometrici: occhio e piede non sono distanti e questo gli dà un grande equilibrio su terreni accidentati. Ha zoccoli durissimi, se anche perdi un ferro in passeggiata stai tranquillo che a casa ci torni sempre e poi bevono anche dalle pozzanghere, mangiano di tutto (mica schifano la gramigna!) e hanno una fibra molto, molto forte».
Facciamo qualche foto poi partiamo per Cottanello, in pieno territorio sabino: andiamo a casa Volpi per conoscere Fulmine e il suo harem e scopriamo un paesaggio fatto di colline fitte e morbide e grasse che su in alto si aprono in un altopiano incantevole, così perfettamente rasato da secoli di mandrie transumanti da sembrare un parco inglese: sono Le Prata, dal 1° maggio di ogni anno accolgono cavalli, bovini e maiali che prospereranno tutta l'estate su 2.400 ettari di pascolo libero, punteggiato da querce monumentali e oggi ricoperto dal bianco e viola dell’arnica in piena fioritura. Mauro continua a raccontare: «Noi i puledri li vendiamo tutti tranquilli, le fattrici cattive non le vogliamo in razza e anche quando so’ puledri li vedi quelli che ce stanno. Ricordo sempre quello che mi disse un vecchio buttero, tanti anni fa: ricordati che un cavallo si compra per le qualità, non per gli occhi. Voleva dire che è meglio un cavallo bravo di uno solamente bello. E io sono orgoglioso quando andiamo in giro e la gente ci chiede che sono: so’ cavalli della razza nostra, dico io».
Nostra: aggettivo possessivo, femminile e singolare. Singolare come la storia di queste persone innamorate della loro terra e della loro storia che si sono andate a cercare premeditatamente il cavallo più adatto a dare una risposta positiva sul loro territorio. Femminile come tutte le cose che appassionano e danno frutto, un aggettivo apparentemente piccolo e sotto le righe ma che a guardarci bene sa di orgoglio e voglia di costruire, proteggere, tramandare: perché questi sabini forse hanno rapito i Tolfetani delle allumiere, ma li stanno facendo crescere come tutte le cose che si possiedono da sempre.