32 anni fa: Carlo Alberto dalla Chiesa.
Il 3 settembre 1982 morivano, assassinati, il generale Carlo alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela. Due settimane dopo, a causa delle ferite riportate, morì anche Domenico Russo, un agente di Polizia che li scortava e aveva reagito al fuoco degli assassini. L'anno scorso in occasione del Memorial dalla Chiesa al Gese di Bologna ho potuto contribuire allo special dedicato a loro dal Resto del Carino: oggi vorrei ricondividere con voi quelle pagine.
MASTER D'ITALIA: PER NON DIMENTICARE
Molto più di un semplice concorso
di Maria Cristina Magri
E' questo l'intento di chi organizza il Memorial Dalla Chiesa: ricordare, grazie a quattro giorni di bella equitazione, chi ha affrontato ostacoli apparentemente insormontabili, molto più impressionanti di quelli che si possono trovare su un campo di gara solo per seguire il proprio senso di giustizia. Perché è questo che hanno fatto il generale Dalla Chiesa e la sua giovane moglie con il loro agente di scorta, Domenico Russo: hanno seguito il loro percorso fino in fondo, pur consapevoli del rischio che comportava andare contro la Mafia. Il generale Dalla Chiesa era allora Prefetto di Palermo: il punto più alto della sua vita professionale, quello più delicato di ogni parabola. Il momento in cui sei più solo, quello in cui non puoi fare altro che assecondare lo slancio che hai raccolto con il costante, paziente impegno di anni. Il momento in cui sei più indifeso, quello in cui anche la minima perdita di equilibrio può essere fatale: e a Palermo nel 1982 hanno dovuto usare un kalashnikov per far cadere il generale Dalla Chiesa, perché nient'altro sarebbe riuscito a fermare la sua determinazione.
Il Master d'Italia vuole ricordare questo genere di forza morale: quella che ti fa arrivare un po' più in alto delle tue paure, un po' più lontano dalle cose troppo comode e facili. Vuole ricordare che da soli non possiamo fare molto ma con un buon compagno sì, possiamo arrivare anche al di là degli ostacoli più grandi. E se sappiamo aiutare gli altri, rimaner loro vicini anche mentre affrontano difficoltà che non ci riguardano (e quanto è facile chiudere gli occhi, girare la testa dall'altra parte e dire di non aver visto) il premio è davvero grande. Non uno di quei trofei da esporre in bella vista sui ripiani della libreria di casa, ma qualcosa da tenerci dentro per sempre e che nessuno potrà portare via: l'orgoglio di un percorso ben fatto, la soddisfazione di aver combattuto sì - ma con armi pulite, in modo leale, per la gioia di misurarsi e capire sin dove si può arrivare.
«Ci sono cose che non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i nostri figli, e i figli dei nostri figli».
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Simona Dalla Chiesa: era il nostro papà.
di Maria Cristina Magri
Il tempo sarà anche galantuomo, ma allontana le figure di chi non c'è più dal mondo reale e le fa diventare troppo idealizzate. Un rischio che corrono quelli che a volte vengono anche definiti eroi: e certi sacrifici personali sono così poco usuali ai nostri giorni che paiono venire da un altro piano spazio-temporale. Come accade per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela e Domenico Russo, l'agente che li seguiva la notte in cui furono assassinati: sono diventati icone, termine abusato che però rende bene l'idea di qualcosa che sta diventando fredda immagine. Unico rimedio a questa tendenza perversa è buttare via santini e immaginette e ritrovare le persone vere: ci aiuta a farlo Simona Dalla Chiesa, giornalista e deputata del PDS sino al 1996, terzogenita del generale Dalla Chiesa e della prima moglie Dora Fabbo.
Il Memorial Dalla Chiesa si serve di un concorso di equitazione per ricordare la vita e i valori di suo padre: ma a lui piacevano i cavalli? «A casa il vero cavaliere in realtà era suo fratello Romolo, Comandante del 4° Reggimento carabinieri a cavallo» ricorda Simona, «se penso a una divisa su un cavallo era lo zio. A riavvicinarlo in tempi recenti ai cavalli in carne e ossa era stata Emanuela, che come crocerossina aveva un forte impegno nell'ippoterapia per i bambini, lui se ne interessava molto. Ma seguiva con grande attenzione Raimondo D'Inzeo perché teneva a che l'immagine dell'Arma fosse tenuta alta anche nello sport, aveva un legame fortissimo con i carabinieri a cavallo che presidiavano la città ed era un vero appassionato del Carosello Storico dei Carabinieri, tradizione per lui molto importante. Ci portava spesso a vederlo all'Arena di Milano: per lui era il ricordo di un grande atto di coraggio (quello degli Squadroni da Guerra dei Carabinieri Reali che il 30 aprile 1848 a Pastrengo per proteggere Carlo Alberto di Savoia caricarono due battaglioni austriaci, costringendoli a ripiegare), ogni volta si emozionava nel vedere quella travolgente carica a sciabole sguainate».
Che padre era il generale Dalla Chiesa? «Quando parlo di lui ancora non mi rendo conto del fatto che non ci sia, lo sento sempre vicino. Ci ha lasciato un patrimonio di affetti privati e valori morali nemmeno predicati, ma trasmessi quotidianamente con l'esempio concreto e costante nella vita di tutti i giorni. Noi ragazzi vedevamo comportamenti diversi fuori casa (dove eravamo molto in stile «Piccoli carabinieri crescono»), ma quando vivi dentro un esempio praticato come il suo non riesci più a distaccarti da quel modello e da quei valori, faranno parte di te per tutta la vita. Era orgoglioso della sua emilianità (nostro nonno Romano, anche lui ufficiale dei carabinieri, era di Parma e la nonna di Piacenza), si ritrovava nel carattere della gente di questa terra, nel gusto per la battuta e la buona cucina. Poi per il tipo di vita che doveva condurre era costretto alla prudenza e a mantenere le distanze ma era un amico vero, un padre severo nelle regole ma allo stesso tempo affettuoso e anche romantico. Gli piacevano la musica di Mina e Celentano, i fiori: era capace di tornare dai suoi giri di notte per le caserme con un ramo di ginestra o fior di pesco per nostra madre, amava giocare con noi e lo ha fatto sempre, qualunque fossero il suo grado o la città dove vivevamo in quel momento».
E a guardare la biografia di Dalla Chiesa ci si rende conto quanto dovesse essere difficile separare vita privata e preoccupazioni professionali: lotta al banditismo a Casoria e Sicilia, dove scova gli assassini di Placido Rizzotto e nel 1966 contribuisce con il suo sistema di indagine minuziosa (controllava battesimi e matrimoni, i legami tra i vari clan erano riflessi in quella rete di rapporti familiari) a far arrestare 76 boss, lotta al terrorismo e alle Brigate Rosse sino ai primi anni '80, poi di nuovo la Sicilia. «E se li cercava lui questi incarichi, era sempre volontario: aveva un senso del dovere granitico e un altissimo senso delle Istituzioni. Dava un tale senso di sicurezza che io credevo fosse immortale, non voleva nessuno a proteggerlo per evitare vittime inutili in caso di attentato. Domenico Russo, morto dopo l'attentato di via Carini e giorni di agonia, non era la sua scorta: era semplicemente la sua persona di fiducia che lo stava seguendo sulla sua macchina. Una scorta prevede sempre almeno due persona, una guida e l'altra è armata, ha le mani libere per sparare in caso di necessità. L'agente Russo era solo: è stato eroico perché è sceso dalla macchina per affrontare un gruppo di fuoco armato di kalashnikov con la sua semplice pistola d'ordinanza, sapeva molto bene di non avere nessuna speranza ma lo ha fatto ugualmente.
Ogni volta che ne parlo il dolore torna, vicino. Ogni volta rivivi le emozioni cristallizzate nel tempo ma ci rendiamo conto che è necessario: i giovani non sanno queste cose, ma si emozionano quando parliamo loro della sua vita. Perché un conto è leggere fatti e date su un libro di storia, un altro sentire e capire la persona». I suoi valori, la sua bellezza, l'insegnamento che può dare anche a noi: e va bene ricordare tutto questo anche, soltanto, grazie a un concorso indoor di salto ostacoli.