L’Uccellina in gabbia…
...che muore dalla rabbia, che muore dal dolor...e poi? non me la ricordo più, era una filastrocca che cantavamo da piccoli, giocando in cortile.
Tutti in cerchio, uno in mezzo saltellava su una gamba sola e faceva tutto il giro fermandosi davanti a un compagno esattamente quando finiva la canzoncina e allora toccava a lui andare al centro e via così, finché non suonava la campanella o la mamma non ci chiamava a casa. Uno di quei giochi che si facevano fino ai sei, sette anni: trecce che ballonzolavano e si spettinavano tutte, calzini bianchi afflosciati alle caviglie d'ordinanza, scarpe blu col cinturino che tintinnava e un sacco di sogni in testa da raccontare all'amica preferita.
La mia si chiamava Antonella e ogni tanto mi prendeva in giro recitando, in modo ipnotico, uno strano mantra: "Cavallicavallicavalli, pizzapizzapizza!!!" che erano poi, all'epoca, le mie cose preferite al mondo.
Sì perché io sognavo senza freni, proprio senza risparmio. Non mi facevo mancare niente in quanto a progetti per il futuro e, nell'ordine, volevo avere (non appena fossi potuta scappare da casa e sottrarmi all'ordine maniacal-casalingo di mia mamma): un lupo (da chiamare Zanna), una cavalla grigia (da chiamare Bianca e indovinate quale era il mio scrittore preferito) e una pizzeria sempre a disposizione per sfornarmi il mio piatto del cuore (che mia mamma mi tirava su a bistecche e tortellini, mentre io non avrei mangiato altro che Margherite e 4 Stagioni).
Sono belli i sogni, anche quando sembra che la vita ti abbia convinto ad accantonarli lavorano dentro e ti girano sempre dalla stessa parte, come se non perdessero mai la speranza di farti capire quale è la tua direzione giusta.
I miei di sogni erano parecchio testardi , e hanno ottenuto buoni risultati: una cavalla l'ho avuta davvero (era morella, a dire la verità, ma nonostante questo l'ho chiamata Vaniglia), il cane anche (Jack, tale e quale a London), la mia lunga frequentazione con le pizze si è sedimentata nei posti più classicamente mediterranei del mio povero (...) corpicino e per non farci mancare niente sono anche riuscita a fare quello che la mia insegnante delle elementari, maestra Gianna, non avrebbe mai ritenuto possibile, la giornalista. "Magri tuo padre è un artigiano, tu farai l'impiegata non la giornalista" mi disse, freddissima, riconsegnandomi un compito di italiano dove mi aveva segnato in rosso un "bebé delle foche" che citavo pari pari da una didascalia di Gente o Oggi, non ricordo bene. Avevo sette anni e l'avrei uccisa.
Maestra Gianna, mi spiace: è vero che faccio anche l'impiegata, ma sono terribilmente orgogliosa del tesserino da giornalista pubblicista che mi sono guadagnata sul campo.
Poi i sogni si pagano, sia chiaro: passo mesi e mesi in cui per tenere i piedi in tre staffe (famiglia, lavoro, secondo lavoro) non vedo nemmeno il mio cavallo, ma sono tempi duri e bisogna darsi da fare come si può e magari ti arriva un invito per un bel trekking (una di quelle cose che da piccola sognavo come cose quasi irrealizzabili, in bilico tra sogno e irrealtà) e sei costretta a declinare perché il lavoro non ti lascia tempo e la famiglia non la puoi costringere sempre nell'angolino piu' piccolo della giornata.
Ma è bello lo stesso, so che potrei e comunque serve sempre un sogno di scorta. Non si sa mai, potrebbe servire.