«Nell’acqua potabile per uso domestico che l’acquedotto convoglia fino alle nostre case ci sono dieci fibre di amianto per ogni litro. Voi, conoscendo gli effetti nocivi dell’amianto venuti a galla anno dopo anno, quell’acqua l’avreste bevuta? E la dareste da bere ai vostri cari? Probabilmente no, per il noto principio di precauzione che consiglia, nel dubbio, di non rischiare, di non esporsi. Lo stesso principio che dovrebbe spingere i gestori e i proprietari degli impianti pubblici a rimuovere totalmente le condotte di fibrocemento, usate storicamente per distribuire la risorsa idrica. Ma il più delle volte gli abbonati sono ignari della presenza di fibre di amianto nell’acqua potabile».

Sono parole di un utente che ha scoperto per caso, durante una colonscopia, di avere una grossa infiammazione intestinale, una matassa di fibre di asbesto aggrovigliate, una mucosa gonfia e dolente attorno alla valvola che regola i succhi digestivi. Uno scomodo inquilino, tanto da richiedere un’operazione chirurgica per estirpare quella bolla. All’esame istologico quella massa ha un nome poco rassicurante: colangiocarcinoma. Un tumore maligno.

L’Istituto Superiore di Sanità, in una circolare citata dalla Regione Toscana e diramata la settimana scorsa, ha concluso che allo stato non sussistono i requisiti di necessità per indicare un valore di parametro per l’amianto nell’acqua potabile diverso da quello già indicato dall’Epa americana (Ente Protezione Ambiente) che è pari a 7 milioni di fibre per litro.

I tubi in cemento amianto degli acquedotti hanno di gran lunga superato i cinquant’anni di posa, alcuni di questi potrebbero seminare fibre nocive nell’acqua che ogni giorno esce dal rubinetto. Acqua utilizzata per cuocere la pasta, lavare la verdura, preparare il caffè o per dissetarci. Per tutta risposta alcuni amministratori hanno prospettato, nella migliore delle ipotesi, anni per la sostituzione delle tubature degli acquedotti e ulteriori monitoraggi.

Il dato di un forte aumento dei tumori, con la possibilità che una persona ogni 2-3 possa svilupparlo nel corso della vita, è oggetto di discussione. Le cause? Solo il fumo di sigaretta, la vita sedentaria e gli alimenti insalubri? E perché non l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo? «Nel sangue di alcuni residenti vicini all’inceneritore, dice l’utente che si è svegliato una mattina con l’intestino in fiamme, si evidenzia presenza di idrocarburi policiclici aromatici: normale coincidenza? Nel tumore del tubo digerente di chi ha scoperto fibre di amianto nell’acqua di casa si sono rinvenute fibre di amianto: casualità? Ovviamente no».

Così si esprimeva il Prof. Giancarlo Ugazio, patologo e tossicologo di chiara fama: «Se vedi in una stanza un cadavere scorticato e in una pozza di sangue, e lì vicino un leone che si lecca i baffi, chi vuoi che sia stato? Le istituzioni eleggerebbero una commissione di esperti che discuteranno se il felino miagola o ruggisce, solo se a maggioranza stabiliranno che ruggisce, lo dichiareranno colpevole e lo puniranno col carcere, che non sconterà mai, per buona condotta e per sovraffollamento degli istituti carcerari».

L’abbonato alla rete dell’acquedotto nell’occhio del ciclone per via dell’eternit mi chiede quanto contano nella testa degli amministratori (di qualunque regione siano) il principio di precauzione, la constatazione del rischio ambientale, la prevenzione primaria e secondaria. Discussioni spesso portate avanti da questo o quel gruppo politico di opposizione, ma non è un problema di etichette o di partiti, perché simili riflessioni stanno attraversando territori diversi, e il tumore intestinale colpisce tanto a destra quanto a sinistra.

Aggiungiamo che le tubature degli acquedotti hanno perdite che raggiungono percentuali talora rilevanti: perché dunque non sostituire i tubi rotti? Già questo comporterebbe un modo per iniziare a risolvere il problema. Nella bolletta che paghiamo per l’acqua c’è anche la voce relativa alla manutenzione delle tubature: quindi, dopo cinquant’anni, sarebbe necessario procedere, proprio in base al principio della precauzione, per non doversi precipitare a rimediare a danni forse irreparabili, con la consapevolezza che la prevenzione costa un settimo rispetto al ripristino del danno. Anche se in medicina, tante volte, non c’è modo di riparare al danno, un volta che questo è stato fatto.

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