Un farmaco già in uso in oncologia (il bexarotene) ha mostrato la potenzialità di bloccare l’Alzheimer all’esordio. La ricerca sul farmaco sperimentale, pubblicata sulla rivista Science Advances, è dell’italiano Michele Vendruscolo, Università di Cambridge. Per quanto si tratti di uno studio preliminare, i risultati, spiega il ricercatore, prefigurano la possibilità in futuro di prevenire alcune forme di demenza prescrivendo questa molecola a partire dai quarant’anni, come avviene già con le statine per abbassare il colesterolo e ridurre il rischio di malattie di cuore e delle arterie. Nei modelli animali la somministrazione di bexarotene innesca una drammatica riduzione delle placche amiloidi e un miglioramento delle funzioni cognitive. In passato altri farmaci diretti sulle placche della demenza avevano alimentato speranze poi puntualmente deluse. Speriamo che questa volta sia la strada giusta.

Sul fronte della nanomedicina e della lotta al deterioramente mentale, l’Università di Milano-Bicocca ha annunciato uno spin-off, Amypopharma, per lo sviluppo di un nanofarmaco contro l’Alzheimer, in grado di eliminare quasi del tutto gli effetti collaterali e aumentare la precisione dei farmaci, rendendoli invisibili al sistema immunitario e capaci di superare gli ostacoli come la barriera emato-encefalica.

I nuovi casi demenza diagnosticati negli Stati Uniti nella popolazione che invecchia sono diminuiti, come incidenza, del 20% negli ultimi decenni, secondo una ricerca coordinata da Sudha Seshadri, professore di neurologia presso la scuola di medicina della Boston University, pubblicata dal New England Journal of Medicine. Non è ancora chiaro quale sia la ragione di questa diminuzione, ma i risultati fanno crescere la speranza che malattie come l’Alzheimer possano essere scongiuraate o ritardate. Attualmente non c’è alcun trattamento farmacologico veramente efficace per prevenire o guarire dalla demenza, solo palliativi che mascherano temporaneamente il declino delle facoltà intellettive.

Un altro gruppo di ricerca coordinato da Elvira De Leonibus, presso l’Istituto Telethon di Pozzuoli, ha messo recentemente a fuoco le proprietà di un nuovo gene della memoria (COUP-TFI, individuato per la prima volta nel 2007) e ha pubblicato i primi risultati sulla rivista Cerebral Cortex. Questo studio apre importanti scenari per la comprensione dei disturbi cognitivi che si osservano nei pazienti che presentano un’alterazione delle dimensioni dell’ippocampo, osservabile nelle malattie neurodegenerative dell’invecchiamento, come l’Alzheimer, che provocano gli stessi difetti di memoria riscontrati nei modelli animali mancanti del gene.

Un gruppo di studenti del corso di laurea in Scienze infermieristiche, per finire con un cenno alle attività a contatto con i malati, sarà in visita al Villaggio Amico di Gerenzano (Va), istituto scelto dalla Scuola Universitaria dell’Ospedale Sacco di Milano quale struttura modello di lungodegenza. La Residenza sanitaria assistenziale e centro polifunzionale si avvale delle più moderne terapie, con supporto a persone diversamente abili e malati di Alzheimer. Tra le peculiarità di questa struttura c’è il Villaggio della Memoria, dove a supporto delle cure più tradizionali si inseriscono la Doll therapy, la musicoterapia, i percorsi motori e la nuova Snoezelen Room, una stanza con sollecitazioni multisensoriali per calmare gli stati d’ansia legati al disorientamento che caratterizza la malattia.

Alessandro Malpelo, QN Quotidiano Nazionale