Ci sono tanti autori italiani coinvolti nella ricerca che è valsa il premio Nobel per la medicina al giapponese Yoshinori Ohsumi. Gli studi del processo che permette alle cellule di ripulirsi internamente e rinnovarsi (autofagia) hanno visto in prima fila l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Napoli, dove il professor Andrea Ballabio ha scoperto il gene spazzino, e ha dimostrato come questo segmento di Dna sovraintende al funzionamento dei lisosomi, gli organelli deputati allo smaltimento delle scorie cellulari, un meccanismo inceppato in  svariate malattie, da quelle più rare come la corea di Huntington (tremori) o  l’acondroplasia,  la più comune forma di nanismo causata da difetto di crescita delle ossa, fino a condizioni progressivamente  invalidanti come Parkinson e Alzheimer.

Alle scoperte del giapponese Yoshinori Ohsum si ricollegano anche i lavori di Giuseppe Maulucci e Marco De Spirito, docenti presso l’Istituto di Fisica dell’Università Cattolica di Roma, e di Giovambattista Pani dell’Istituto di Patologia Generale al Policlinico Gemelli. Insieme hanno  perfezionato  una tecnica per tracciare il transito dei materiali di scarto delle cellule di cui parliamo. Questo sistema di smaltimento e riciclaggio detto autofagia entra in causa nelle malattie neurodegenerative ma anche in svariate forme di tumore orfane di cure.

Il Premio Nobel per la medicina ha ispirato infine i lavori di Simone Patergnani, 31 anni. Viene dall’Università di Ferrara ed è stato il vincitore della prima edizione del Premio Giovani Ricercatori istituito da AISM e dalla Fondazione FISM per incentivare la ricerca sulla Sclerosi Multipla. Il biologo ha indagato il ruolo dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, sperimentando gli effetti di una citochina (il TNFα, tumor necrosis factor) che si osserva nelle persone con sclerosi a placche e danno della mielina. L’ipotesi è che fosse coinvolto un meccanismo connesso all’aumento dell’autofagia. Simone e colleghi hanno provato a bloccare una molecola correlata all’aumento dell’autofagia, la AMP-chinasi, per rispristinare la produzione di mielina, che risulta danneggiata e compromette le fibre nervose.

Tra gli scienziati italiani che hanno esteso gli esperimenti effettuati dal Premio Nobel, Yoshinori Ohsumi, contribuendo a isolare nuovi geni legati all’autofagia, figura il gruppo guidato da Francesco Cecconi dell’Università di Roma Tor Vergata, che ha evidenziato il ruolo regolatorio della proteina Ambra 1 nell’autofagia. Lo studio in questione è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e ha aperto la strada a nuove strategie in grado di controllare l’autofagia delle nostre cellule in diverse patologie, tra cui il cancro.

Alessandro Malpelo, QN Quotidiano Nazionale