Antonella Costantino guida la Società italiana di neuropsichiatria infantile. La sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è un banco di prova della medicina.
Professoressa Costantino, dove sono e quanti sono i bambini iperattivi?
«Bambini iperattivi con deficit di attenzione possono essercene tanti ma qui parliamo di impulsività significative, e le richieste ai nostri servizi sono aumentate del 45% in 5 anni, ogni anno un 7% in più. In America si dice che questi sintomi affliggono nel 5,3% della popolazione tra i 5 e i 17 anni». Ed è così anche in Italia? «Ricerche della Regione Lombardia mostrano che l’incidenza riscontrata da noi è 15 volte inferiore».
E dunque?
«I tassi sono del 2.2% nei maschi (allo 0,7 % nelle femmine) nella fascia d’età tra i 4 e i 19 anni. La prevalenza di utenti seguiti dai servizi sanitari si attesta sotto l’1% della popolazione tra i 6 e i 17 anni».
Come si spiega tanta variabilità nelle statistiche?
«La classificazione europea è più restrittiva. L’ambiente sociale e scolastico italiano è più tollerante di quello americano per alcuni tipi di iperattività. Consideriamo poi che solo un utente su tre arriva alla nostra osservazione, cioè vediamo solo i casi più gravi».
Una scelta o una necessità?
«C’è una carenza di risorse nei servizi di neuropsichiatria infantile, una disomogeneità delle organizzazioni regionali, liste d’attesa anche di sei mesi per la prima visita, difficoltà di accesso ai servizi, non riusciamo a dare risposte a tutti».
Verrebbe da credere che sia più facile, più sbrigativo, prescrivere medicinali…
«E invece l’Italia ha un tasso di utilizzo di psicofarmaci nell’infanzia tra i più bassi al mondo. Con Maurizio Bonati dell’istituto Mario Negri da anni promuoviamo un attento monitoraggio nell’uso di psicofarmaci in età evolutiva. Siamo tra i promotori del Registro nazionale ADHD, impegnati a misurare efficacia e sicurezza dei farmaci. Per prevenire sia un abuso nella prescrizione di psicofarmaci, sia il ricorso a terapie inappropriate».
Che cosa si può fare concretamente?
«Gli interventi nei bambini con ADHD devono coinvolgere la scuola e la famiglia. La base è rappresentata dagli interventi psicoeducativi sull’ambiente di vita, quelli cioè che da un lato portano a modificare l’atteggiamento per meglio rispondere alle necessità del bambino, e dall’altro supportano quest’ultimo per consentirgli di aggirare i problemi».
Quale atteggiamento tenere riguardo all’impiego dei medicinali?
«Le strategie educative non sono sufficienti nei casi più grave, quelli che necessitano anche di farmaci. Ma ci vuole anche prudenza, genitori e insegnanti non devono interpretare certe difficoltà come segno di una loro cattiva volontà dei ragazzi, ma anzi aiutarli a interrompere un circolo vizioso che spesso è presente».

Alessandro Malpelo, intervista pubblicata su QN Quotidiano Nazionale del 16 gennaio 2017

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