MOTTA. So di dare un dolore al maestro macellaio e all’allevatore, ma il suo ristorante ha costruito sulla carne forse migliore d’Italia anche un’alta cucina che parte da una semplice e geniale rilettura della tradizione. Sergio Motta fa la spola operosa dalla sua «macelleria di paese (prezzi da paese) con macello» di Inzago alla sua creatura, il Ristorante Macelleria Motta, sulla Strada Padana Superiore (civico 90) a Bellinzago. Arrostisce bistecche e costate di bue grasso alla brace con la tigna competente dell’appassionato, mentre lo chef Andrea Alfieri cura una carta che vale molto più di certe cucine stellate. Il grande refrigeratore a vista ospita la mezzena del bue grasso e del manzo kobe allevato a Sulbiate, l’ingresso è da togliere il fiato, il menù è una corsa piena di sorprese. Come la cruda di manzo (coscia, cappello del prete, diaframma), uovo di quaglia pochè, caviale, gamberi rossi, gocce di burrata e katsuobushi. Il crudo di carne e il pesce crudo, la salsa giapponese.

LE BREASAOLE, i salami, il crudo stagionato oltre cinque anni, il «prosciutto di kobe», sfacciatamente marezzato, sono squisitezze d’altri tempi e mondi, rendono onore al Motta norcino. Ma è la cucina che trionfa. Meravigliosa la terrina croccante di vitello (testina in cassetta) con fagioli risina, cipolle confit, dressing alla senape. Una delicata crema di asparagi accompagna le animelle croccanti, i piccoli canederli e la bottarga di gallina (dal tuorlo d’uovo). I tortelli ai tre arrosti regalano il fondo ristretto all’acqua di Parmigiano, i gnocchi di patate ripieni al ragù di salsiccia, il bacello di piselli croccante, su crema di piselli e polvere di liquirizia. Il bollito d’estate è «magro» e non dimentica una lingua di bue dal sapore inaudito, la testina, la coda, il cappello del prete, il biancostato e il cappone.
Imperiale il doppio assaggio della coscia di manzo al rosa, scaloppa di fois gras, riduzione di Marsala, fondo bruno. Accostato alla stessa coscia alla brace di Motta. Grandi bollicine Dom Cabanon Brut non filtrato e rifermentato in bottiglia (Oltrepò Pavese).

di Marco Mangiarotti