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Valentino Ronchi

Firenze, 4 maggio 2013 – Articolo pubblicato su “La Nazione” di oggi.

‘Anna e Mélanie’: due vite in versi. Valentino Ronchi, la forza della poesia

Le sue prime orme di poeta Valentino Ronchi le ha lasciate in Toscana. Dapprima scrivendo un suggestivo poemetto in versi intitolato Giugno Vadese, dedicato a un suo soggiorno di vacanza sulle coste tirreniche. Poi imponendosi nel 2005 al Premio Letterario Castelfiorentino su tema toscano, al fianco del vincitore del «premio speciale» di quell’anno, il mitico Tonino Guerra.

Ora Ronchi è al suo secondo libro: ed è proprio un bel libro. Si intitola Anna e Mélanie, è edito da «Lampi di stampa» e narra, trattandosi anche stavolta come per Giugno vadese di un vero e proprio poemetto, di quei comportamenti sostanzialmente inconoscibili che Tozzi avrebbe definito i «misteriosi atti nostri»: atti che in modo imperscrutabile e semmai solo rappresentabile determinano le nostre esistenze.

Due destini femminili paralleli, immaginati e seguiti con minuta attenzione nel corso del tempo, a partire dai delicati ma non innocui quadri dell’infanzia; destini volti ad incrociarsi, toccarsi per un attimo e distrattamente salutarsi per poi tornare a delimitare i confini delle proprie autonomie.

Classe 1976, milanese, amante dei libri e di professione moderno libraio antiquario, Ronchi colse il suo primo successo in Toscana, la terra di una sua ava. Si disse allora che i suoi versi avevano la compiutezza sfuggente di un sogno scandito in ciak cinematografici.

Vennero poi gli apprezzamenti e i premi conseguiti da Canzoni di bella vita. E adesso Giampiero Neri può giustamente parlare, presentando  Anna e Mélanie, di una «poesia di rara intensità e bellezza».

P.S. Notizia dell’ultim’ora. Letterariamente rivissuta e trasfigurata, la vita da libraio moderno di Valentino Ronchi ha dato luogo ad un romanzo (il libro è appena giunto sul mio tavolo!): Vecchi libri per quest’epoca incerta, Foschi Editore, già Premio Città di Forlì.

Marco Marchi

Da Anna e Mélanie

Qual è la nostra di anguria? Ce ne sono tante
tutte nei sacchetti tirate dalla corrente dell’Adda
legate ai sassi vanno col fiume eppure
restano al loro posto. Ma qual è la nostra,
quale sarà, mi hanno detto vai a prenderla
ormai sono grande per andare un pezzo da sola
fra gli ombrelloni della minuscola spiaggia,
ma non mi hanno dato nulla per riconoscerla,
non mi hanno detto qual è se non che è piccola
piccola, e posso portarla da sola.


Seduta sulla rena, sono la spiaggia

la prendo con le mani, sono la spiaggia,
sono così piccola che scompaio, e se scompaio
è perché sono tutta la spiaggia. – Mélanie –
grida la nonna dalla strada dal muretto
– torniamo a casa, viene a piovere -.
E in un pomeriggio di grandi nubi
di colpo finisce l’estate.


Lontano dal Berchet, lontano dal Parini,

di qualsivoglia vezzo disadorno
ficcato in un quartiere di case alte e popolari
antico e malfamato. Ma certo un ottimo
liceo, greco e latino, latino e greco,
sveglie prima dell’alba per ripassare ancora un po’
schivi professori finiti quaggiù per troppa
preparazione e pochi gomiti, bellissimi
ragazzi e ragazze a piccoli gruppi o coppie
giù dai tram infreddoliti. Così lontani dal centro
ci si avvia senza saperlo a una vita bella
da seconda cerchia, zaini pieni e Rocci in mano.


Un’estate per nulla qualsiasi

ventosa, un vecchio sogno da fidanzati
i miei avevano voluto vedere la Normandia.
Io scrivevo lunghe cartoline illustrate ad Anna
avevamo appuntamento per sentirci le sere
dalla cabina del paese. Poi un pomeriggio
me ne stavo seduto sul muretto di pietra
grigia davanti alla spiaggia di Villers sur mer
e dall’acqua che non c’era nessuno venne fuori
una ragazza lunga e un po’ aguzza
– sì proprio Mélanie anche se ancora
non sapevo il suo nome – veniva avanti
e l’acqua le si ritirava sotto i piedi veloce
lasciando la spiaggia nuda. Mi raggiunse al muretto
si sedette non lontano da me ed era buono
il mio francese e belli gli occhi chiari
– i miei e i suoi – la sua schiena bagnata.

 

Niente di speciale, è solo un baretto ricavato
da una vecchia sala d’aspetto il Termini bistrot,
niente di particolare ma buono per il caso. Anna
e Lorenzo e la piccola Francesca che spilucca educata
il piccolo panino. Le han detto mangia,
che il viaggio da Roma – che era proprio il caso
di visitare – alle Marche – dove l’aspetta la nonna –
è lungo e bisogna cambiare due treni. Dietro di loro

all’altro tavolo la bella Mélanie che trent’anni
fanno una donna con tratti marcati da ragazza,
inquieta, una valigia leggera e un taccuino blu.
Prenderà un treno per il Sud, vuole rivedere Napoli
poi scendere in Sicilia. Il bistrot è pieno,
i tavoli troppo attaccati, Anna la urta appena Mélanie
si volta le dice scusi, l’altra dice niente, in italiano
una dell’altra pensa che bella donna che bel sorriso
poi si voltano di nuovo e per sempre e tornano
alla propria vita come io alla mia interrotta qua e là

certe sere al tavolo per scrivere di loro, intuire
ricordare. Fino a che un giorno il tempo sarà
passato del tutto – e non così a piccoli tratti –
e tutto sarà per allora di colpo semplice
semplice e facile da capire.

Valentino Ronchi

(da Anna e Mélanie, Lampi di stampa 2012)

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