VEDI I VIDEO Vincenzo Cerami al Premio Letterario Castelfiorentino 2008 , Il tema per Pasolini , Da “Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli, con Alberto Sordi (1977) , Una scena di “La vita è bella” (1997)

Firenze, 18 luglio 2013 – Vincenzo Cerami non è più tra noi. Lo avevamo conosciuto nel 2005 in occasione del Premio Arturio Loria, a Carpi, e lo avevamo poi incontrato nuovamente al Premio Letterario Castelfiorentino, conferitogli nel 2008 come premio speciale alla carriera, e in ambedue le occasioni il contatto umano non aveva che confermato l’idea estremamente positiva che di lui ci eravamo fatti leggendo la sua opera.

Gli  avevamo dedicato, per presentarlo al «Castelfiorentino», questa scheda che qui tale e quale riproponiamo; avevamo letto nel corso della serata di premiazione e poi pubblicato nel sito del Premio un brano del suo notissimo romanzo d’esordio del 1976 Un borghese piccolo piccolo, e anche questo qui riproponiamo, non dimenticando tuttavia di segnalare ai lettori di queste Notizie di poesia che il suo ultimo libro è stato un libro di versi: Alla luce del sole, edito pochi mesi fa da Mondadori.

Da Alla luce del sole trascrivioamo questi versi: «Si prendano una fanciulla / e un piatto di fagioli / riuscire a legare con coerenza/ –  e impressione di naturalezza –  una cosa all’altra / è viaggiare sul filo della simmetria / costruire il complesso intrigo di una poesia». E a questi versi alleghiamo una sua bella, schietta dichiarazione di poetica che dice: «Se scrivo un romanzo ho un’idea del mondo e cerco di descriverla. Nella poesia posso anche non avere un’idea nel mondo, ma nel momento in cui la scrivo mi porta da un’altra parte, mi fa deragliare. È indiziaria del mondo, non fotocopia, quindi più vera». Ma ecco la nostra scheda di allora e l’estratto che allora scegliemmo da Un borghese piccolo piccolo.

Personaggio internazionalmente noto, scrittore e sceneggiatore, allievo di Pasolini, collaboratore e amico di Roberto Benigni, Vincenzo Cerami è nato a Roma nel 1940. Ha avuto come insegnante di lettere nella scuola media di Ciampino Pier Paolo Pasolini, che lo ha introdotto all’amore per la letteratura e la poesia. Nel 1969 è aiuto regista dello stesso Pasolini per Uccellacci e uccellini. È del ’76 il suo primo romanzo, Un borghese piccolo piccolo, molto apprezzato dalla critica e portato l’anno dopo sullo schermo da Mario Monicelli con l’interpretazione di Alberto Sordi.

Ha così inizio una carriera creativamente poliedrica e ricchissima nella quale cinema e letteratura di continuo si intersecano, non senza incursioni  nel teatro, nel mondo della musica, i quello dell’arte e dei fumetti. Come narratore nei suoi romanzi e nei suoi racconti Cerami ritrae la condizione umana attraverso invenzioni satirico grottesche, a volte crudeli ma non prive di una disperata pietas, che lo pongono sulla linea di una tradizione letteraria e stilistica del comico che partendo da Boccaccio giunge a Moravia.

Dopo il romanzo d’esordio si susseguono così Amorosa presenza (1978), Tutti cattivi (1981), Ragazzo di vetro (1983), La lepre (1988) e i racconti di L’ipocrita (1991) e La gente (1993). Notevole anche la produzione per il teatro, a cominciare dalle commedie L’amore delle tre melarance (1984), Sua maestà (1986), Hello George! (1988), al recente Sola me ne vo (2007) scritto per Mariangela Melato. Dalla sua collaborazione con il musicista Nicola Piovani sono derivati altri felici esiti artistici, tra cui Le Cantate del Fiore e del Buffo (1990), Il signor Novecento(1992), Canti di scena (1993), La Pietà (1998), Lettere al metronomo (2002), Cantata dei Cent’anni (2006) e Made in Italy (2006).

Negli anni Ottanta e Novanta Cerami si dedica intensamente alla scrittura per il cinema firmando sceneggiature per registi e attori di qualità, da Gianni Amelio a Marco Bellocchio, da Sergio Citti a Giuseppe Bertolucci, da Francesca Comencini a Antonio Albanese. Il grande successo arriva grazie al sodalizio con Roberto Benigni con cui collabora per Il piccolo diavolo (1988), Johnny Stecchino (1991), Il mostro (1994), La vita è bella (1997, film vincitore di tre Oscar, David di Donatello a Cerami per la sceneggiatura 1998), Pinocchio (2002), La tigre e la neve (2005).

Nel 2001 torna alla narrativa con il romanzo Fantasmi, edito da Einaudi, e l’anno successivo inizia a pubblicare con l’editore Garzanti, che gli dedica una collana personale per la riedizione delle sue opere più importanti, fra le quali è d’obbligo ricordare Consigli a un giovane scrittore. Escono inoltre in questa collana gli autobiografici Pensieri così (2002). Nel 2005 con La sindrome di TouretteStorie senza storia lo scrittore propone una nuova raccolta di racconti con la quale vince il Premio di narrativa «Arturo Loria», seguita da un altro romanzo, L’incontro (2005), e da Io ti amo (2006).

Ha ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali per la sua carriera letteraria, teatrale e cinematografica: fra questi, oltre ai già ricordati, il «Premio Vittorio De Sica» (2004) e la nomina per l’Italia ad «Ambasciatore di Hans Christian Andersen» (2005). Nel 2001 è stato nominato Commendatore dall’Ordine al Merito della Repubblica e nel 2006 l’Università di Pisa gli ha conferito la laurea honoris causa in Letterature e filologie europee.

Ti salutiamo affettuosamente, Vincenzo. Ci piacevi, ci piaceva la tua affabile (un tempo si sarebbe detto gioviale) semplicità, per la tua intelligenza popolarmente ancorata alle essenziali verità di cui eri in cerca e che invece, senza saperlo, eri più di una volta arrivato a cogliere e trasmettere agli altri. Ci mancherai.

Marco Marchi

Da Un borghese piccolo piccolo

Quella era sempre la sua casa, non c’era dubbio, eppure non lo sembrava affatto.
Si accorse ora, con forse più tristezza, di non avere famiglia. Ma scoprì anche, nel segreto del suo intimo, che se non aveva affetti non aveva neanche paure.
Ormai più nessuna disgrazia avrebbe potuto colpirlo. Non poteva morirgli più nessuno.
Il cupore dei suoi assilli fu sconvolto dallo scricchiolare del Tuscolano sotto l’improvviso rovescio della pioggia.
Tutt’intorno al palazzo era esploso un vero e proprio nubifragio, l’acqua veniva giù a dirotto.
Giovanni sentì sulle spalle un freddo improvviso. Un tuono lo fece avvicinare alla finestra.
Guardò di sotto il brutto acquazzone che tormentava la città.
Fiumi d’acqua straripavano dalle terrazze come da recipienti stracolmi e confluivano verso i tombini ostruiti della via, precipitavano lungo i binari del tram trasportando fango e immondizie.
L’animo di Giovanni fu ammorbato da un grave sospetto che andò paurosamente ingigantendosi.
«Oh Madonna mia!» invocò a bassa voce dentro di sé.
«L’assassino!…»
Stava correndo un rischio madornale, anzi, la catastrofe era certa, non l’avrebbe salvato neanche il Padreterno in persona.
Vedeva con quanta furia l’acqua macinava i piedi delle piante e girava vorticosamente tutt’attorno.
Si figurava la riva dello stagno dove l’assassino era stato mal sotterrato.
Ad ogni lampeggiamento del cielo sulle rétine di Giovanni si stampavano immagini di incubo: come due fiori carnosi le mani bianche della vittima spuntavano da sottoterra e la pioggia le lavava per metterle bene in mostra; il cadavere liberato dal fango, con la bocca spalancata alle nuvole, sputava acqua piovana con una risonanza strafottente, come se fosse viva; alla fine un capannello di persone pallide e mute sotto gli ombrelli circondava il corpo restituito alla superficie.
Tutto questo per la stoltezza di chi l’aveva sepolto. Si trattava di agire subito: ritornare laggiù, impadronirsi di nuovo del cadavere, riseppellirlo.
Fu proprio il carattere necessario della cosa che gli dette la forza di affrontare la burrasca.
Sarebbe tornato al più presto, quella notte stessa.
Mise le scarpe pesanti, si imbacuccò per benino, lasciò sollevata la cornetta del telefono e uscì in punta di piedi, si toccò la tasca per sentire le chiavi di casa, chiuse con delicatezza e sparì.

Mano a mano che Giovanni si avvicinava alla campagna si accorgeva che, per fortuna, la furia degli elementi era soprattutto concentrata sul Tuscolano.
I campi e i fossi non erano allagati: si rincuorò e se la prese più comoda.
Deviò per lo stagno, fermò la macchina a pochi metri da dove aveva sotterrato l’assassino, scese, fece due passi intorno.
Tutto era in ordine, silenzio sopra e sotto la terra, nessuno in vista per chilometri, né uomini, né animali.
Risalì in macchina, raggiunse la baracca e prese gli attrezzi: pala e piccone.
Scelse in una macchia di alberi di fico selvatico il fico più grosso e si mise al lavoro: l’intenzione era di sradicare la pianta per trapiantarla vicino alla bicocca.
Lavorò soprattutto di pala, con le mani e i piedi nella melma; il piccone gli servì per recidere le radici più lunghe.
Dopo un paio d’ore finalmente la pianta fu divelta.
Giovanni si sedette sul tronco per riprendere fiato, poi con santa pazienza, metro dopo metro, tirò l’albero fino alla baracca.
Le mani e il collo gli prudevano impastati di terra e di latte di fico. Si pulì alla meglio con l’erba bagnata, riconquistò le forze e dette inizio alla fatica più grossa.
Scavò, scavò senza risparmiare energie.
La testa bassa, il piede sul badile, il manico di legno sotto l’ascella a estrarre pozzolana e tufo. Con le mani ferite estirpava grosse pietre dalle pareti della buca e le spingeva fuori… e ancora giù, sempre più in basso, a cavar terra.
A notte alta aveva fatto un bucone così grande che insieme all’assassino poteva seppellirci pure l’automobile.
Si fermò: la baracca non si vedeva più, nascosta dietro i picchi dello sterro.
Risalì a fatica, caricò sulla macchina la pala e via subito verso la sepoltura in riva allo stagno.
Scavò anche qui, ma quasi subito sentì sotto le mani gli abiti bagnati della vittima.
Con le unghie e con le dita scalzò la terra intorno al cadavere, lo afferrò quindi per i piedi e lo trascinò via.
«Da là sotto, – pensò mentre guardava quei resti mortali in fondo alla buca, – neanche il terremoto lo farà venire fuori».
E cominciò a ricoprire palata dietro palata. Ributtò dentro le pietre, i tufi…
Verso la fine, un buon metro prima di spianare, piantò l’albero di fico, nel bel mezzo dello scavo; puntellò con i sassi la radice, ricolmò il fosso e ammucchiò terra intorno. Ecco, adesso poteva stare tranquillo. Il fico un giorno avrebbe attecchito, sarebbe cresciuto e avrebbe fatto ombra davanti alla baracca nelle prossime estati.

Rientrò a casa che era notte fonda. Le gambe gli tremavano per la stanchezza, non lo tenevano più diritto in piedi.
Era stata una fatica del diavolo e solo adesso si rendeva conto di avere strafatto.
D’altra parte in un caso del genere è sempre vero che chi più spende meno spende: poteva dirsi tranquillamente, lavandosene ormai le mani: «cosa fatta capo ha!»
A incremento di quell’ottimismo c’era la convinzione di non essere stato visto da nessuno, né all’andata, né al ritorno: tutti quelli che lo conoscevano non potevano pensarlo che a casa, insonne, in quella prima notte di solitudine.
E, anzi, per non rischiare neanche un pochettino, camminò per le stanze senza accendere la luce, con la fiammella di un cerino sopra le dita.
Con estrema delicatezza rimise a posto la cornetta del telefono e filò dritto dritto verso il letto. Per trovarlo dovette faticare un po’ visto che era ridotto a una piazza sola e non stava più dove era sempre stato.
Finalmente lo sentì con le ginocchia, mandò un bel sospirone: non vedeva l’ora!
Trovò il pigiama, si spogliò e cadde subito, esausto, in un sonno ristoratore.
La mattina appresso stava già meglio. Alle cinque e mezzo aprì bene gli occhi, guardò la finestra buia e la sveglia, si girò dall’altra parte accoccolandosi intorno ai gomiti.
Riuscì a dormire ancora un’ora tutta d’un fiato, fino alle sei e mezza sette meno un quarto, quando la prima luce del nuovo giorno gli disegnò sulla faccia lo spigolo della persiana socchiusa.
Finalmente si alzò, si guardò tra quelle quattro mura. Si sedette su una sedia come se si trovasse nella casa di qualcun altro.
Notò subito che la carta da parati era tutta scolorita: sulla parete dove una volta c’era l’armadio era abbozzato un grande rettangolo fiorito mentre tutt’intorno non rimaneva che un giallo vago e affumicato.
Il comò, in quel nuovo posto, era un’altra cosa; i due comodini, ai lati di quel letto così piccolo, lui che aveva sempre dormito dalla parte sinistra, li vedeva messi là da un sacrestano; le due sedie mingherline accanto alla porta gli facevano pena.
Chiuse gli occhi e immaginò di ritrovarsi nella vecchia camera da letto; li aprì e si vide di colpo dov’era, nella nuova eppur vecchia stanza.
Chiuse e riaprì gli occhi ancora, tante volte. Si alzò e andò in cucina a prepararsi il caffè.
Pose la macchinetta sul fuoco, tirò fuori la tazzina, ci mise dentro due cucchiaini di zucchero.
Poi, per ingannare il tempo in attesa che la caffettiera fischiasse, con un mozzicone di matita ritrovata nel fondo di un cassetto, sopra un brandello della busta del pane si mise a calcolare: fece qualche moltiplicazione, qualche sottrazione, divise i pensionati per tanti bambini; tolse qualche anno per prudenza, qualche altro per contemplare gli imprevisti e un buon dieci per cento d’errore.
Togli e metti, per navigare sicuro verificò il problema con la prova del nove. Decise che più o meno gli restavano quindici anni da vivere, che non poteva escludere i cento anni e che comunque dieci erano quasi matematici.
La caffettiera borbottò, ribollì velocemente e di colpo si acquietò.
Giovanni riempì la tazzina e con le labbra a punta ci soffiò sopra a circolo. Soffiava e pensava che per una quindicina d’anni tutte le mattine sarebbe stato così.

Vincenzo Cerami

(da Un borgese piccolo piccolo, 1976)

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Compleanno Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923). ‘ La cipolla’ , La voce del poeta. ‘Sia questo il verso’ di Philip Larkin , Ungaretti, il destino e l’origine. ‘Lucca’ , L’amore secondo Patrizia Valduga , L’amore secondo John Donne , Betocchi. Quando la poetica diventa poesia , Anniversario Papini (Firenze, 8 luglio 1956). ‘Quinta poesia’ , La voce del poeta. Ezra Pound, ‘Con usura’ , Interviste celebri. Pasolini incontra Pound , Ancora su Pound e Pasolini (con ‘Strappa da te la vanità…) , Compleanno Neruda (Parral, 12 luglio 1904). ‘Ho fame della tua bocca’ , Bere l’anima. ‘Il bacio’ di Corrado Govoni , Immergersi nell’anima. ‘Il bacio’ di Alda Merini , Catullo e i mille baci di Lesbia , Il bacio secondo Pedro Salinas , Compleanno Gatto-(Salerno, 17 luglio 1909). ‘E il bacio che cerco è l’anima’ (‘Poesia d’amore’)

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