VEDI I VIDEO “Chi sono?” letto da Vittorio Gassman , “La Bohème” di Giacomo Puccini, arie e duetto atto I

Firenze, 24 luglio 2013 – Palazzeschi avanguardista promuove espressamente il melodramma a componente visibile dei suoi futuristici scherzi di gioventù e, insieme, della sua cultura di autore formidabile: di scrittore illetterato e geniale, che anche nella simpatia per la «musica delle grandi passioni» e addirittura nella proclamata predilezione per due opere messa in bocca al suo io letterario diviso (il maschile «lavativo» poeta e la femminile «virile» Contessa Maria dell’indimenticabile Interrogatorio) si ribadisce «incendiario», e sia pure, lasciando trapelare l’altra faccia «grigia» anzichè «rossa», malinconica e crepuscolare della sua personalità, un «povero incendiario da poesia».

In un romanzo così trasgressivo ed implicante da restare miseramente impubblicato nel cassetto come Interrogatorio della Contessa Maria il verdiano Trovatore (librettisticamente citato nell’emblematica aria di Manrico Di quella pira…e la belliniana Norma subito si impongono come le opere predilette: si impongono in abbinamento e di necessità, perché ambedue opere ignifere, incendiarie, conclusivamente affidate, nell’ambito dei loro diversissimi intrecci conflittual-passionali sublimati in musica, all’ardore dell’eros e alla risoluzione catartica del rogo, del fuoco che distrugge e purifica.

Norma e Trovatore, del resto, avevano già fatto la loro certificabile apparizione in chiave ludica di ribaltamento e di paradosso, in una «Spazzatura» apparsa sulla rivista del futurismo fiorentino «Lacerba» il 21 febbraio del 1915: «Spazzatura» in seguito rimasta, ci si passi il gioco di parole, irraccolta, consistente in davvero provocatori, sintetici e scandalosissimi  Melodrammi produttori di riso, la cui gamma di riferimento per via di prelievi testuali a doppio senso svaria – oltre molto Verdi, oltre Bellini e Mascagni – dal Donizetti di Lucia e dell’Elisir d’amore al Puccini di Bohème, dal Ponchielli di Gioconda al Catalani di Loreley, dal rossiniano Guglielmo Tell al Lohengrin di Wagner secondo Cescatti, fino al Paisiello di Nina ossia La pazza per amore, con la sua nenia Il mio ben quando verrà avrebbe potuto partecipare di diritto pure alla parte finale del testo, al suo pirotecnico culmine umoristico su base vocabolaristica da equivoci e fraintesi con relativi commenti d’autore.

L’immoralismo di Palazzeschi,  nello scritto di «Lacerba», trionfa. Ma a noi qui interessa piuttosto suggerire come la poetica di Palazzeschi fin da allora avesse già previsto con ampiezza il differito dei traslati e il falso, l’innaturale e il teatrale, e in primo luogo fornire proprio attraverso il melodramma, da Palazzeschi frequentatissimo, un esempio di «scriver cantando».

In esso è efficiente (siamo nel 1909) La Bohème di Puccini (anno di debutto dell’opera 1896, successo strepitoso immediato e protrattosi, come tutti sanno, fino ai nostri giorni). Pensiamo al celebre Chi sono? posto dall’autore ad apertura di Poemi e in seguito confermato in altre sillogi delle sue poesie in tale posizione privilegiata: una canonica lirica-autoritratto culminante tramite negazioni ed esclusioni nel suggestivo endecasillabo definitorio che recita «Il saltimbanco dell’anima mia»; una lirica tributaria nei confronti dell’atto I della pucciniana Bohème.

«Chi son? – dunque, canta Rodolfo, muovendosi al buio di una fredda soffitta parigina e già come Palazzeschi divertendosi – Sono un poeta. / Che cosa faccio? Scrivo» (vedi il video, Che gelida manina!, da 4:23). Rodolfo fornisce così a un altro poeta in vena di autonterrogazioni («Chi sono?») e in cerca di definizioni di sé mediante la «penna dell’anima» il riferimento scrittorio e perfino lo specifico vocabolo «anima» («l’anima ho milionaria»).

Spetterà invece alla replica dell’importuna, sottilmente maliziosa più che sventata vicina Mimì (continuo del video in riproduzione automatica, Sì. Mi chiamano Mimì), per suo conto artistica artigiana del falso, autorizzare un gioco di sensi al negativo (fiori ricamati, artefatti, i suoi, che «non hanno odore», per un Palazzeschi che  per di più qui scrive, echeggiando, «Non ha che un colore») e contribuire soprattutto all’allestimento della sequenza rimica portante del componimento: mia alternativamente rimante con  follìamalinconìanostalgìa. A partire dal suo stesso nome anagrafico dichiarato, Lucia, che nel testo librettistico dell’aria rima con miamalìa e poesia.

Marco Marchi

Chi sono?

Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
«follìa».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore 
la tavolozza dell’anima mia:
«malinconia».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
«nostalgia».
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

Aldo Palazzeschi 

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