Firenze, 2 agosto 2013 – E’ il post Betocchi. Quando la poetica diventa poesia il post del mese di luglio. Al secondo e al terzo posto del podio, ma sostanzialmente alla pari, Catullo e i mille baci di Lesbia Ancora su Pound e Pasolini (con ‘Strappa da te la vanità…).

Un risultato che non può non piacerci, consideratà la qualità di testi e autori bilanciati tra Novecento e classicità, letteratura italiana ed altre tradizioni, ma soprattutto per l’inaspettato piazzamento di Carlo Betocchi, per di più non con una delle sue splendide poesie che in molti continuano ad ignorare o misconoscere nel loro valore altissimo, ma con una prosa, con una dichiarazione di poetica.

Questo dimostra semplicemente che Betocchi era poeta sempre, ogniqualvolta coniugava il suo essere al mondo con la scrittura. In quel momento le distinizioni di genere magnificamente cadevano e ad imporsi (ad umilmente imporsi) era la sua poesia e nient’altro. Buona rilettura, anche dei vostri commenti, e buona estate!

Marco Marchi

Betocchi. Quando la poetica diventa poesia

VEDI IL VIDEO “Canti dell’ansia e della gioia” di Carlo Prosperi, su testi di Carlo Betocchi

Firenze, 7 luglio 2012 – I teorici della letteratura lo chiamano l’«avantesto» ed essendo ciò che precede un testo e nel contempo lo determina, quell’insieme di meccanismi, modalità ed occorrenze che sovrintendono alla sua configurazione definitiva e insieme alla sua più remota origine, può identificarsi anche con ciò che comunemente si dice, senza dover ricorrere a impegnativi tecnicismi da linguaggio speciale, l’ispirazione.

Molti poeti, del resto, hanno amato fornire indicazioni su come in loro si produca la poesia, in che modo in loro si presenti, si faccia strada e richieda soddisfazione, obbedienza. Indicazioni e attestazioni quanto mai varie e divergenti, a vantaggio talvolta del senso, talvolta del suono (penso al Valéry di Le Cimitière marin, alla sua certificazione circa un irresistibile richiamo metrico, ritmico-accentuativo preciso, di valore primario), che quella misteriosa danza e controdanza in atto tra significante e significato implica.

Anche il grande Carlo Betocchi ha raccontato come in lui la poesia prendesse forma, come di volta in volta, testo dopo testo, miracolosamente si realizzasse, e lo ha fatto affidando la sua testimonianza ad stupefacente prosa dal titolo Diario della poesia e della rima, apparsa come una sorta di postfazione o allegato prezioso che dir si voglia a un suo libro tardo, cronologicamente diffuso e compendiario: Poesie del Sabato, pubblicato per le cure di Sauro Albisani nella prestigiosa collana dello «Specchio» di Mondadori nel 1980. Nel fare questo, parlando di poesia, Betocchi restava magnificamente poeta: quel poeta da «anima di tutti» che la sua poesia rigorosamente umile e creaturale, dai lontani tempi del debutto di Realtà vince il sogno a quelli degli ultimi versi, ha sempre rappresentato: ascoltato e cantato.

Ecco allora un breve estratto dal Diario della poesia e della rima che, cogliendo il punto in cui l’ispirazione si materializza in suoni e accenti, parole e immagini, produce anche – proprio nel registrare la fenomenologia di quel misterioso processo generativo – altra poesia: un’altra, per dirla con il linguaggio di Betocchi, «vicenda di parole».

Leggete, giudicate e dite se non è così. E dite anche se Carlo Betocchi,  perfino in una prosastica e strumentale dichiarazione a margine della poesia come questa, si riveli o no con i suoi tratti di riconoscimento più propri: tratti  inconfondibili che, nonostante i fraintendimenti e le colpevoli dimenticanze che gravano sulla  sua opera, consentono di identificarlo con assoluta sicurezza come un poeta tra i massimi che il Novecento italiano può vantare. A tal punto da poterlo definire nuovamente – con lo stesso rammarico e con la stessa convinzione con cui gli abbiamo voluto dedicare molto tempo fa il primo post di questo blog – Misconosciuto Betocchi.

Marco Marchi

Da Diario della poesia e della rima

Tu hai nel petto un garbuglio di cose che ronzano come un’arnia d’api al lavoro. S’apre uno spiraglio nell’arnia; il capo del verso, come un’ape d’oro, appare, sull’orlo, fremente, sta per spiccare il volo, e sdipanare il garbuglio dello sciame. E a un tratto, in quel deserto, appare un fiore giallo, a sinistra, lontano, poi un altro, ma sembra vicino, ed è rosso, sulla destra. Sono apparizioni che sorprendono il poeta: e che fantasticamente si replicano. Altro rosso, altro giallo, e un violento azzurro punteggiano il deserto: e son parole che contengono un nesso segreto, quasi mostruoso, con quello che vuole il poeta, il suo discorso che ronza, lo sciame che vola. Quello che era intenzione del discorso si eleva ad altra potenza correndo a investire questi suggerimenti di colori ritmati che moltiplicano secondo il bisogno le loro apparizioni, le loro corrispondenze.
E il discorso che era tutto dentro l’arnia sta ormai sciamando a precipizio con l’ardente sua fame verso i richiami dei fiori che sbramano la sua passione di impossessarsi di una ragione sconosciuta.
Ogni fiore era una rima, ed ora capisco che ognuno di essi conteneva un potenziale che il poeta non inventava da sé, ma che rispondeva, come predisposto, alla supplica ardente di quella fame compressa.
Chi ha assistito a questa vicenda di parole che s’appostano lontano a creare la danza ancora insospettabile della poesia rimata, sa benissimo che da solo non ce l’avrebbe fatta. Una grande carità è scesa verso la fame d’esprimersi che lo divorava. 

Carlo Betocchi 

(Diario della poesia e della rima, in Poesie del Sabato)

Leggi il post correlato Quali spazi e silenzi. Un ‘notturno’ di Carlo Betocchi

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I VOSTRI COMMENTI

Marco Capecchi
Sì, Betocchi è poeta tra i massimi del Novecento. Quel “garbuglio di cose che ronzano come un arnia di api al lavoro” si esprime in una religiosità del quotidiano, in una fratellanza con ogni forma di vita. E’ dolore impercettibile, è felicità sommessa.

Tristan51
Betocchi immenso, poeta sempre.

Ermione
E’ bella questa prosa di Betocchi che ci descrive, in modo molto poetico, il momento della creazione lirica, della materializzazione dell’idea “in suoni e accenti, parole e immagini”! La similitudine delle api nell’arnia mi sembra, poi, particolarmente interessante, perchè se, da un lato si riallaccia ad un “topos” letterario tradizionale (la poesia come miele delle api), dall’altro lo sviluppa, però, in modo originale e efficace. Bellissima anche la frase finale, in cui l’ispirazione è descritta in tutta la sua urgenza creativa come “fame d’esprimersi” che divora il poeta.

IsolaDifederigo
“L’animo in entusiasmo […] discopre vivissime somiglianze fra le cose” (Zibaldone, 7 settembre 1821), anche fra un’ape operosa e un poeta affamato di rime. Davvero unico, meraviglioso Betocchi.

Rosalba de Filippis
L’attimo sorgivo della poesia.Una vicenda di parole “appostate” che giungono caritatevoli a dare forma al brusio aurorale dell’ispirazione poetica. Una grande fiducia nelle cose e nella capacità della parola di aderirvi. Il tutto rappresentato “prima” dell’atto creativo. Il dopo è competenza del critico.

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