Firenze, 30 novembre 2013 – Un vero trionfo, questo mese,  per il post La madre di Giacomo Trinci, che si assicura il gradino più alto del podio nella nostra consueta classifica a base di preferenze espresse e commenti stilati. Un’acclamazione, un’ovazione, un pieno successo che confermano il pistoiese Giacomo Trinci –  con nostra somma soddisfazione, dato che in lui abbiamo continuativamente creduto fin dal suo antico libro d’esordio, il bellissimo Cella, del 1994, e prima ancora di esso –  come uno dei poeti più letti ed amati del nostro blog.

Al secondo posto Pier Paolo Pasolini con il post Anniversario Pasolini (Lido di Ostia, 2 novembre1975). ‘Meditazione orale’, al terzo un interessante ex aequo tra Giorgio Caproni e Edgar Lee Masters, rispettivamente con La madre di Caproni e Edgar Lee Masters e la collina di Spoon River.

Buona lettura (buona rilettura) a tutti e ancora bravo al vincitore (del quale si ricorda in libreria il recentissimo Inter nos)!

Marco Marchi

La madre di Giacomo Trinci

VEDI I VIDEO Io scrivo poesie. Giacomo Trinci ed altri poeti a Castelfiorentino (2005) , Giacomo Trinci su Italo Svevo, con sue poesie (2012)

Firenze, 6 novembre 2013 – Caro Giacomo, con Inter nos, da poco in libreria per i tipi di Aragno, che libro importante, hai scritto! Per il lettore impegnativo quanto bello, e per te per molti aspetti decisivo come può essere un maturatissimo ed insieme sorprendentemente rivelatorio bilancio. Ma mi è capitato in questi giorni di rileggere la tua raccolta del 2006, Senza altro pensiero e torno a dirti, con rinnovata convinzione: che libro strepitoso anche allora scrivesti! Tutto strazio e delicatezza, limpido e misterioso, «altrove» e al centro di ogni altro pensiero, com’è delle parole della poesia.

Un canzoniere per la madre, Senza altro pensiero, in cui continuativamente il lettore si ritrova alle vertiginose altezze del tuo libro d’esordio: quell’indimenticabile Cella da cui nel 1994 ha preso l’avvio il tuo percorso di poeta, che mi permise allora di riconoscere in te un sicuro poeta della contemporaneità, da ascrivere senza timori a un quadro storico (la militanza, per noi, è proprio questo): Trinci, in una mia silloge di scritti critici, subito assieme a Tozzi, Trinci con Luzi e con Zanzotto (questo con generosa attinenza al vero pubblicamente mi riconosce oggi Paolo Maccari nella sua centratissima postfazione ad Inter nos).

Quel che è venuto dopo – da Voci dal sottosuolo al tuo Pinocchio in versi, al tuo recentissimo Inter nos di cui sicuramente sentiremo parlare  – è disceso da lì. Ma è con Resto di me e con Senza altro pensiero, prima del libro che potremmo definire libro di consuntivo e di crescita che è  l’odierno Inter nos, che i vincoli con le origini sono tornai a farsi più stretti, al punto che queste due raccolte mi si presentano come una sorta di splendido, bipartito corollario analitico a quanto Cella magnificamente registrava e quanto in Inter nos adesso culmina.

L’io – ecco il punto essenziale – risaliva in Cella all’«ante-vita» e partecipava allo scontro amoroso tra il Padre e la Madre: si insinuava nella stretta che lo faceva gemere e imprecare, nascere e morire, aggiungendo febbre a febbre, ansito a ansito, sporcandosi e amando fino in fondo, per poi ritrovarsi – le suggestioni di Rimbaud e del Pasolini delll’Usignolo già si autocertificavano – figlio appeso a quella croce, inchiodato.

Dominava in Cella una scena dell’arte che è scena amorosa: due forme di lotta di cui non è dato sapere l’esito, forse neppure le ragioni. Ma lo scontro avveniva, feroce, per via di cultura. Il manierismo di un rimatore d’amore e di tormento come Michelangelo non si risolveva in parnassianesimo a freddo o in vacuo progetto del postmoderno. La lievitazione dei sentimenti, e in primo luogo del sentimento top dell’amore, si trovava piuttosto costretta a delegare i suoi oltranzistici e scandalosi messaggi, per risultare naturale, all’abnorme e al falso, sino alle forzature antichizzanti, linguistiche e di situazione, del melodramma.

Il problema dell’arte e una casistica musicalmente potenziata, di valore archetipico, rivendicavano insomma, da subito, trattamenti e coniugazioni garanti dell’unica storicità concessa a chi scrive poesia, di chi tenta la vita proprio riconoscendo intriso di morte ciò che persegue con il fanatismo di un adoratore di beni intatti, di volti perduti e potenzialmente irremeabili.

In Senza altro pensiero la «cella» testualmente ritorna (penso al bellissimo quella era la sua camera – vedete – di p. 33 che qui si propone, ma i pezzi bellissimi non si contano), ed è di nuovo un luogo condiviso di vita e di morte di cui sei il caldo testimone, in cui carnalmente si riassumono e si lasciano raccontare la storia di tua madre, la tua e quella del mondo.

Bianca Garavelli ha scritto per te una postfazione ammirata e ricca di spunti, giustamente enucleando la funzionale presenza in Senza altro pensiero di modelli novecenteschi di «canzoniere alla madre». Ma mancano i due riferimenti più utili per capire: la «mari fruta» di Pasolini, passeretta sugli sfondi dialettali e in lingua di Casarsa, e quell’Anna Picchi tutta natura e rime aperte dei Versi livornesi di Giorgio Caproni.

«Vergine madre, figlia del tuo figlio», diceva il Poeta ultramondano. E come in Caproni, la tua «canzone» da nido pascoliano può dire alla fine, meglio di Freud, chi l’ha mandata: «suo figlio, il suo fidanzato».

Marco Marchi 

quella era la sua camera – vedete 

quella era la sua camera – vedete 
ogni giorno è da qui vive con me

da quando poi salendo queste scale
si sentiva più stanca fino ad ora
è qui il mio luogo che sorveglio fisso 
è in un secondo piano ed una porta

a vetri s’apre verso i campi ed oltre.
era stanca, diceva sempre più 
io sorvegliavo da lontano il cuore

io veglio ancora quello che non muore.
ora è ridotto all’osso è solo cella
astratto punto d’un astratto vero
tutto quello che è stato è un morso asciutto
è il sunto di un racconto della carne.

Giacomo Trinci

(da Senza altro pensiero, Aragno 2006)

I VOSTRI COMMENTI

ErikaOlandeseVolante
E’ mirabile come riesca sapientemente a definire il ricordo… una perla che rivedremo nelle antologie!

tristan51
Un vero poeta, un Poeta.

Virgilio
Che bravo il nostro Giacomo,ci fa sentire la presenza della madre come se fosse nell’altra stanza.Grandioso perché ognuno di noi ha qualcuno… nell’altra stanza.

DuccioMugnai
Davvero una bellissima poesia che non conoscevo. Umana, riservata, quasi sacrale.

AretusaObliviosa
Qualcosa di sublime, di delicatissimo caratterizza qui il vincolo, sacro vincolo, che lega il figlio alla madre. Come la vestale di un antico tempio, qui il poeta si fa custode di un sentimento primitivo e inviolabile. Difficile concepire un amore più grande.

PietroPaoloTarasco
E’ un ricordo che emoziona tanto quello che Giacimo Trinci dedica a sua madre nella splendida poesia. Leggerla lascia un groppo alla gola e il suo profondo dolore, sempre “vivo”, traspare in una leggerezza poetica ineguagliabile. Lui scrive “Io sorveglio da lontano il cuore”; che meravigliosa creazione poetica!

Ermione
Provo a esprimere, a trasformare in parole, le tante emozioni suscitate in me dalla lettura di questi splendidi versi, che non parlano di dolore, ma sono essi stessi dolore: una sofferenza che rievoca “nidi pascoliani”, ma con un timbro più asciutto, più virile, non per questo meno straziante e straziato. Il poeta-figlio continua a vegliare, non più la madre, ma “quello che non muore” e il ricordo, “tutto quello che è stato”, diviene “morso asciutto”, strazio che dilania, “il sunto di un racconto della carne”. L’andamento dei versi si adatta, con espressiva efficacia, a questo flusso di dolore: in particolare, quel “vedete” sospeso tra due linee, sembra prolungare nello spazio la visione della stanza materna, così come l’enjambement del verso 6 schiude alla vista i campi su cui si apriva quella porta a vetri.

m
Scabri e prosciugati, ossificati, questi endecasillabi, martellanti, quasi ossessivi: fissi a un punto, a un dato, a un pensiero solo (come il titolo, straordinario, della raccolta). Rima, ritmo e tutto l’armamento della prosodia teso a questo risultato: battere, ribattere, dire incespicando nel silenzio che ti strozza. L’io ridotto a sentinella della sua stessa cella e di quell’astrazione vera che ti smonta la carne e ti morde di miseria.

IsoladiFederigo
Nulla muore nella poesia di Giacomo Trinci. Non muore il pensiero della madre, non muoiono i poeti insieme ai quali Giacomo continua a scrivere i suoi versi strepitosi, non muore la memoria della poesia che veglia su tutto e tutto custodisce – per dirla con Luzi – “in teche astrali”. Nulla va perso, neppure – te lo dico, carissimo Giacomo, inter nos – la tua grandezza.

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