Firenze, 31 dicembre 2013 – Anche quest’anno, amici, una piccola ma significativa antologia dei vostri commenti che vuol valere anche da ringraziamento e da augurio festivo. 

Scelta a parte – spero sufficientemente rappresentativa, varia e piacevole, da leggere come una sorta di nuovo, collettivo ed imprevisto testo a più voci –, tutti i commenti di chi ha contribuito a queste Notizie di poesia resteranno in calce ai singoli post, continuando a costituire parte essenziale del nostro blog!

Buon 2014 a tutti voi! Marco Marchi

I COMMENTI PIU’ BELLI 

SaraTaddei su Ha vinto. ‘Per la vecchia denti-storti’ di Charles Bukowski
tutto tutto tutto dentro a tutto, fradicio e zuppo e dentro alle cose della vita lercia vera, buk, grande buk, diamante e foruncolo. Giovanni Taddei dal profilo face book della figlia Sara

Giuliano.Giannini su So che mi aspetti. ‘Domani all’alba’ di Victor Hugo
“Demain, dès l’aube, à l’heure où blanchit la campagne, / Je partirai.” Un genio. “Le prophète du peuple” di Besançon comincia così il suo viaggio spirituale verso la catartizzazione e al contempo verso la cristallizzazione del suo dolore interiore. Geniale nel disporre le parole, geniale nell’accostare figure retoriche come il climax, in un crescendo del ritmo; già dal primo verso si percepisce la grandezza di questo “poème circulaire”. Tramite l’enjambement che divide il climax d’apertura dal sintagma verbale “Je partirai”, Hugo ci da l’impressione del movimento, di partire appunto, di incamminarsi spiritualmente verso sua figlia Come molti sanno infatti, la poesia fa parte della raccolta “Les Contemplations” (1856), ispirata dalla morte della figlia, tragico evento che per altro scandisce il passaggio tra la prima sezione della raccolta “autrefois” e la seconda parte “aujourd’hui”. E’ sempre un piacere ritrovare e rileggere poesie così belle e struggenti, la grande sensibilità di Hugo, un poeta che ha ispirato un popolo

Giovannella su Il varco è qui? ‘La casa ei doganieri’ di Eugenio Montale
Un viaggio nella memoria, un percorso nel quale si erge a simbolo di solitudine una casa sferzata dal libeccio. Un viaggio nella memoria che ripercorre un amore, del quale quella stessa casa, nella sua desolazione, ne indica, probabilmente, la fine. “Tu non ricordi la casa di questa mia sera”… Eugenio Montale è maestro nel riuscire ad esprimere “il freddo dell’anima”, attenuato solo da quel filo di speranza che tiene fra le sue mani.

tirstan51 su Anniversario Dickinson (Amherst, Massachusetts, 16 maggio 1886). ‘Dopo un grande dolore’
“Dipingerei un quadro capace di commuovere fino alle lacrime, se avessi la tela adatta, e la scena sarebbe la solitudine, e le figure solitudine, e in ogni luce, ogni ombra una solitudine. Potrei empire una sala di paesaggi così pieni di solitudine che gli uomini vi sosterebbero davanti a piangere, e poi si affretterebbero verso le loro case, grati di ritrovarvi un essere amato” (dalla lettera di Emily Dickinson a Susan Gilbert, 27 novembre-3 dicembre 1854).

geronimo su Prima dell’inferno, prima del paradiso. ‘Se avess’io’ di Alda Merini
Grazie perché in questo grigio che è il mondo… lei ha fatto una rubrica dove persino gli spazi bianchi sanno dire qualcosa all’animo… la sua poesia giornaliera è in contemporanea al mio caffè mattutino… talvolta riesce pure a render la giornata soleggiata… La ringrazio.

pepper su Dintorni della poesia. ‘La terra nera’ di Sandro Campani
E sentirsi Adelmo e la Tedesca insieme, ché “i misteriosi atti nostri” non hanno mistero altro se non l’inquietudine della vita, da conoscere, scavare, plasmare, cancellare come terra nera, con le mani. Belle mani, quelle di Sandro Campani.

almostblue su Dintorni della poesia. ‘La terra nera’ di Sandro Campani
In barba alla copertina rigida Rizzoli – aborro! -, si resta posseduti a leggerlo, Campani. Senza psicologismi che blandiscano l’ego, senza idilli linguistici e narrativi a titillare il piacere, inchiodati alla nera terra da arpioni di balena…

Tommaso Meozzi su Ancora Cristina Campo. ‘Amore, oggi il tuo nome’
Molto bella, semplice eppure non “già sentita”. C’è questa visione di una psiche che procede in modo ciclico. Dall’ultimo scalino, che prelude all’amore, ad un riversarsi liquido dell’Io nelle cose, che pone davanti a nuovi obiettivi. Qualcuno ha questa impressione, si ritrova in questa interpretazione? E’ come vivere il proprio amore attraverso parole, per poi, a un certo punto, comprendere che un ciclo si è concluso e che tutte le parole sono state ancor più interiorizzate, sprofondate in un ineffabile che è il sentire individuale e al fondo non esplicabile.

Luca Rosi su Il ‘Padre nostro’ di Pasolini
“Padre nostro che sei nei Cieli! Che me ne faccio della mia buona educazione? …  / cosi ben difesa contro gli imprevisti?”. Ci sarebbe da chiedersi se la vita di Pasolini, se la sua intelligenza non comprendesse già il potere, le sue dinamiche i suoi effetti. Ci sarebbe da chiedersi se quei margini del rischio (negli ultimi due versi) che implora all’ umano di prendersi, per un’ orizzontalità meno concentrica e più libera, non sia solo stata sperimentata ma espressa chiaramente in ogni sua esposizione. E ci sarebbe da capire quali sono quei margini di rischio, come prenderli, come evitare la latitanza per cacciare la notte. Contempla un potere stupido ed è a favore di un mondo senza poteri così come noi li conosciamo. Il sogno è quello di una comunità senza poteri forti, quelli che lui ha saputo come nessun altro interpretare e farli agire a proprio piacere (grande stratega è stato Pier Paolo Pasolini, penso possa essere innegabile) e per questo poter dire “che me ne faccio di questa buona educazione?”. Un’ icona di un Cristo. Quale Cristo?

Isoladi Federigo su Poesia della notte. Alcmane, ‘Dormono le cime dei monti’
Dolcissima, conturbante malìa di un nostro paradiso perduto, quando la poesia era dono degli dei concessa in grazia a una matura civiltà dell’uomo. L’immenso notturno di Alcmane, dove visibile e invisibile s’incontrano in quella specialissima e inesportabile maniera greca della “metafisica fatta fisica”, e la sua moderna e altrettanto memorabile rilettura di “Mediterraneo”, suggestivo omaggio alla poesia come luogo della sintesi di realtà e sublime astrazione capace di sfidare i secoli. Solo qui, nella poesia greca antica, la “terra nera” di Sandro Campani e il “chiaro di luna” di Hugo, visitati in questi giorni nel blog, si sono toccati, solo qui il “due” indiviso di un ispirato poeta di oggi come Erri De Luca ha conosciuto la sua sanzione formale.

MassimilianoBertelli su ‘Io sono… molto leggero’. Palazzeschi e l’incredibile uomo di fumo
Ricordo ancora una conferenza “lunare” a Certaldo, in occasione di GriseldaScrittura; in quell’occasione ho capito che la chiave per leggere correttamente Palazzeschi è considerare il filtro creato dall’ambiguità, la visione della letteratura come spazio alternativo per vivere ciò che si vorrebbe e che non è, spesso attraverso il ricorso a maschere stranianti. Allora, i suoi scritti sono una sorta di autobiografia del profondo, una trama sotterranea, non svelata, incastonata – diamante – nelle immagini e nelle armonie musicali ricorrenti; la proiezione è clandestina, e proprio così sottratta al giudizio degli altri da sé. Ed ecco come leggere Perelà, la cui prima edizione non censurata riporta nel testo le accuse di essere contro natura, una sorta di terzo sesso! E per Palazzeschi, la fantasia era il suo sesso… Ancora complimenti...

DanielaPt su ‘Io sono… molto leggero’. Palazzeschi e l’incredibile uomo di fumo
La critica ha ravvisato un forte parallelismo Cristo-Perelà: la favola “aerea” di Palazzeschi ricalca, infatti, alcuni punti salienti della vita di Gesù. Perelà è nato in modo miracoloso, partorito dall’«utero nero» di un camino e scende sulla terra a 33 anni, come Cristo all’inizio della vita pubblica. Inizialmente è accolto dal popolo con benevolenza per il merito intrinseco di essere prodotto di un fuoco purificatore. Non appena però la sua straordinaria personalità sarà vista come ambiguità perturbatrice dell’ordine vigente, il fuoco tornerà a essere realisticamente un fuoco distruttore. Il processo dal sapore kafkiano istituito contro Perelà ricorda l’episodio evangelico del «Tu lo dici» in Mt. 27, 11-14: «chiuso nella gabbia dei colpevoli» diviene bersaglio di una logica generale colpevolizzante che esige un traditore, una vittima sacrificale. Infine l’uomo di fumo fugge dal suo sepolcro e, involandosi nel cielo, compie la sua “ascensione”, lasciando a terra gli stivali che lo avevano tenuto ancorato al suolo. Perelà rappresenta l’altro, la coscienza di un mondo possibile. Con la sua sola presenza è portatore di un messaggio di pace e di libertà, che però risulta indecifrato per gli uomini e avvertito come pericoloso per il sistema. Perelà è sì un dio, il dio della leggerezza come ideologia non violenta, risultata fallimentare sulla terra e realizzabile solo in cielo. Da lassù Perelà ci regala il suo sorriso grigio, finalmente libero di essere ciò che è: un leggero, leggerissimo uomo di fumo.

Pia su ‘Liberate L’Italia’. 25 aprile con Alfonso Gatto
Una poesia in cui prevalgono i colori.  Nella prima parte “le mamme annerite”, le tenebre, i morti, suggeriscono il nero. Nella seconda “la piena del sangue, “il taglio ridente della bocca”, il “cuore nel petto” rimandano al rosso. Naturalmente morte / vita. Da notare anche “nell’azzurro/il rosso palpitò come una gola”. Le suggestioni provate nella riflessione sulla speranza provata dai nostri genitori o nonni siano di buon auspicio.

Rosalba de Filippis su L’ultimo D’Annunzio. ‘Qui giacciono i miei cani’
All’osso della poesia e della vita i cani vengono in aiuto per sollecitare rimorsi (Caproni), logorii danteschi, consuntivi ormai “scarniticati” nel D’Annunzio più “notturno”.

Marco Capecchi su ‘Comu ti chianciu ora ca ti persi’. La Sicilia lontana di Ignazio Buttitta
Ignazio Buttitta, come ebbe a dire Contini ci ricorda Iacopone da Todi. La sua poesia è terra, sangue, carne, rabbia e dialetto che diventano coscienza e lotta e dignità. Non importa, come scrisse in un altra poesia se” il raccolto è lontano, i frutti acerbi agli alberi e gli uomini hanno braccia corte e piedi di piombo”. Un altro mondo si affermerà e sarà giusto e vorrà uomini e donne liberi, veri e autentici. Ignazio Buttitta ci ha insegnato la speranza. Ho un suo libro con una dedica che dice “A Marco compagno, io, stasera a Firenze con cori in cielu e in terra”. Lo tengo come una reliquia.

Rosario su Immoralismo e futurismo. I fiori lascivi di Aldo Palazzeschi
Un modo ironico e irridente di illustrare la natura, laboratorio di crudeltà e di poesia, officina dalla quale noi stessi siamo stati creati coi suoi stessi pregi e difetti, megaschermo su cui riproiettiamo passioni, ansie e sentimenti, quasi alla ricerca di un utopico dialogo, perché in questo meraviglioso universo così sterminato noi umani finiamo sempre per sentirci soli.

PietroTarasco su Non fu vano, ‘Nell’imminenza dei quarant’anni’ di Mario Luzi
Quando nel 1989 lessi per la prima volta Mario Luzi -Tutte le poesie (Garzanti, Gli elefanti poesia), fra tutte le straordinarie poesie, rimasi affascinato da “Nell’imminenza dei quarant’anni”; forse perché anch’io, allora, mi apprestavo a raggiungere quei particolari anni e la tanto agognata maturità. Ma, fu soprattutto quel verso a metà poesia che mi fulminò. “L’albero di dolore scuote i rami…”. Da quei sublimi versi capii cos’era la grande poesia e ne fui così inebriato che sono stati fonte di ispirazione per numerose mie opere sia grafiche che pittoriche. Anche questo fa la grande poesia!

Franco Barbieri su Compleanno Borges (Buenos Aires, 24 agosto 1899). ‘I giusti’
Meritorio ricordo di un grande scrittore, che gli italiani purtroppo conoscono pochissimo nonostante la bella edizione mondadoriana curata (ormai son decenni) da un traduttore principe come Domenico Porzio. Di Borges sono degni di studio tutti e tre i settori in cui ha operato: la narrativa, la poesia e la saggistica. A me il suo stile, pur complesso, è sempre piaciuto molto per la carica immaginifica (metaforica) e simbolistica e per la ragnatela di allusioni dotte e raffinate che lo impreziosiscono (Borges era anche un profondo anglista, non dimentichiamolo, oltre che un ammiratore del nostro Dante). Grazie davvero per questo post!

GiuliaBagnoli su Anne Sexton e la rivale in amore
Il vento, il fumo, l’acquarello: la poetessa parla di se stessa con parole che rimandano alla leggerezza, all’inconsistenza, all’inafferabilità. La passione ha le stesse caratteristiche di precarietà, tuttavia anche d’eternità, proprio per il non essere destinata a durare. Somiglia alla vita in fondo! Quanta tristezza!

GiacomoTrinci su La voce del poeta. Pasolini legge ‘Le ceneri di Gramsci’
La luce drammatica della poesia: con questa si riconosce la difficile e semplice conoscenza della sua lingua. Pasolini è stato, in primo luogo, poeta: per il taglio del suo sguardo, per la sua biologia segreta, per l’essenziale, travagliosa vitalità. La sua stessa macchina desiderante era in primo luogo di natura eretica e “di poesia”.

m su Compleanno Zanzotto (pieve di Soligo, 10 ottobre 1921). ‘Al mondo’
Impagabile questo Zanzotto e il suo giocare-sperimentare con le maglie della lingua e dei significati: cosa che naturalmente ha inumidito i sogni di pre-, de-, anti- e post strutturalisti. Deliziosamente birichina, fra l’altro, la linguaccia agli heideggeriani, che uno s’immagina in ritiro ai loro alpeggi, persi in disamine metafisico-etimologiche costellate appunto di “ex-de-ob etc”. E poi la perfida, apparentemente casuale rima “mal pagato” / “santificato” / “da lato”… Ma soprattutto la chiusa, che conferisce all’insieme un tono, come dire, da epigramma del pensiero. Ormai però Zanzotto ci ha lasciato soli, qui a Münchausen, dove continuiamo ancora a stare a galla tirandoci su, chi li ha, per i capelli.

framo su Compleanno Esenin (Konstantinovo, 3 ottobre 1895). ‘L’uomo nero’
Le tenebre rivelano creando scompiglio: estratti dal cilindro di una lunga “notte di gelo” frammenti disarticolati e deliranti, gesti di rabbia, particelle di memoria, dissidi, desideri, frustrazioni e rimpianti gettano in una solitudine disperante e disperata; in particolar modo nella versione recitata da Bene il poeta, lungi dall’offrirci una “languida lirica sfiatata”, afferra la sua forza residua e sembra riemergere tra le schegge infelici di sé (“io sto in cilindro / non c’è nessuno con me / sono solo / e lo specchio infranto”). Grazie.

Alessio Landini su Le lodi di San Francesco
Il “Cantico delle creature” o “Cantico di Frate Sole” di San Francesco, espressione altissima della poesia religiosa duecentesca, rimanda l’ uomo contemporaneo alla sua natura più vera, alla sua dimensione esistenziale ricordandogli il suo essere pellegrino nel tempo e viandante nella storia. Attraverso la Creazione, lo esorta a ritrovarsi come creatura ed a ritrovare il suo rapporto con il Creatore in spirito di contemplazione e di comunione profonda. Fondamentale, in questo processo, il silenzio. “Nel silenzio è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali” (Dietrich Bonhoeffer).

ErikaOlandeseVolante su Poesia della casa. ‘El paradiso’ di Virgilio Giotti
Forse un giorno tutti, né giovani né vecchi, ci ritroveremo intorno a una tavola chiassosa, con i nostri familiari, come un tempo. A quella tavola solo spensieratezza e amore. Forse il Paradiso stesso, per ognuno di noi, prenderà le sembianze di un luogo amato: per Giotti e chissà per quanti altri le mura dell’eternità assomigliano a quelle di Casa.

Duccio Mugnai su L’autunno secondo Baudelaire
Questo straordinario componimento baudelairiano testimonia veramente un approccio simbolico all’universo. “La natura è un tempio” e l’autunno diventa metafora maligna di triste degenerazione, persino fisica, su cui imcombono “l’alzarsi di un patibolo” ed il rumore di una bara inchiodata d’urgenza.

FinizioSimona su Compleanno Pound (Hailey, 30 ottobre 1885). ‘Strappa da te la vanità
Qui Pound esprime con grande riflessione. Nelle prime tre strofe esprime che quello che veramente una persona ama: resta, non gli verrà mai tolto e che è la sua vera eredità. Con la seconda anche se sarebbe l’ideale non credo che sia realtà. Eccome se può essere tolto! L’uomo dovrebbe levar via da sé la vanità perché sennò saranno meschini i suoi rancori e avaro di carità. L’errore per lui è in quel che l’uomo non ha fatto e nella diffidenza che può far essere insicuri. Pound apportò alla lirica inglese un linguaggio più condensato e sperimentale. I “Cantos” sono una sua grande epica autobiografica che fu screditata dalla critica, ma pochi dubitano della profondità di alcune sue pagine.

YumikoNakajima su ‘Chi sono? e ‘Chi son?’. Palazzeschi e Puccini
Tanti poeti erano influenzati dall’opera lirica La Bohème di Puccini come Palazzeschi e Tozzi. Sembra che loro cerchino e indaghino di se stesso come dice Rodolfo: ‘chi sono?’.

Ermione su La madre di Quasimodo
All’interno di quel chiasmo così soave, tra quel “Mater dolcissima” che dà l’avvio e il “dolcissima mater” che lo chiude”, un universo d’amor filiale: amore di un figlio che è fuggito per cercare altrove il suo destino, ma che conserva, intangibili, dei ricordi che il tempo non potrà mai cancellare. “Ah, gentile morte, / non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro / tutta la mia infanzia è passata sullo smalto / del suo quadrante, su quei fiori dipinti”: nel cuore di chi parte, è così, ciò che si lascia resterà immutato e immutabile, immobilizzato in un limbo senza tempo. La scelta dei termini latini conferisce una sorta di sacralità alla figura della madre, come Maria, anch’essa sofferente, chiusa in un misurato dolore, ma anche all’amore di quel figlio, che dall’Imera profumato d’eucalyptus ha raggiunto il Naviglio i cui alberi, gonfi d’acqua o brucianti di neve, appaiono, invece, confusi nella nebbia.

TeresaCiardi su Edgar Lee Masters e la collina di Spoon River
Ha ragione IsolaDiFederigo quando scrive che De Andrè sembra uscito dalle corde del suonatore Jones: sono pagine, quelle di Lee Masters, che pretendono di essere, più che recitate, cantate, come nell’antichità si cantava la vita e la morte: e vita e morte si fanno nell’Antologia un tutt’uno, a lasciare il testamento immortale di un’America ormai perduta, di uomini e donne dimenticati che gridano dalle loro tombe la loro smania di raccontare, di lasciare di sé l’unica eredità che possiedono, la loro drammatica autenticità. Lee Masters restituisce a questi personaggi la loro voce più vera, e De Andrè canta questa verità: il sonno dei sepolti sulla collina non sarà dunque più accompagnato dagli antichi lamenti elegiaci, ma dal “fiddle” di Jones, il solo che davvero l’ha avuta vinta sulla morte, scegliendo, per dirla con De Andrè, di non “seppellire la libertà”.

Aretusa Obliviosa su Il ‘Betocchi’ incorona Giacomo Trinci
Il barbone è per Trinci innanzitutto biografia: un casuale quotidiano incontro all’uscita della scuola. Ma come non cogliere nei versi del poeta la stretta parentela con l’idiota dostoevskiano o con i tanti umiliati e offesi della letteratura europea e italiana? Si pensi a Myskin, ma anche al tozziano abbozzo di Adamo e alla folla di protagonisti di suoi romanzi e novelle (fra i quali certo Remigio Selmi), o ai vageri di Viani. Con loro il barbone condivide una diversità che lo rende esule, ma anche uno sguardo smascherante e dunque pericoloso sulla realtà. Ripenso dunque a Tobino, che si chiedeva chi erano i veri malati e i veri normali: le sue “libere donne di Magliano” o chi sta fuori (ma conformisticamente chiuso in schemi mentali spesso imposti)? Insomma, Trinci si inserisce a pieno titolo in una cerchia di “toscanacci” ai quali mi fa sempre piacere ritornare.

Nell’illustrazione: un acquerello di Pietro Paolo Tarasco

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