Aldo PalazzeschiVEDI I VIDEO L’inizio del romanzo “Il Codice di Perelà” letto da Paolo Poli , Antologia poetica: “Chi sono?” e altri testi , Musica in onore: “Perelà, Jestery Ouverture” di Marco Fedi Caruso

Firenze, 17 agosto 2014 – Articolo apparso su “La Nazione” del 14 agosto 2014.

L’anniversario. Palazzeschi se ne andò 40 anni fa con la nera signora che ama la vita

Quarant’anni fa, in una Roma assolata e desertica, il 17 agosto 1974 moriva Aldo Palazzeschi. Nella capitale – lui fiorentino doc, classe 1885, poi sepolto secondo sue volontà nel cimitero di Settignano – si era stabilito da tempo. E quell’andarsene in una città torrida e chiusa per ferie deve essergli sembrato non del tutto inadatto al suo destino di scrittore solitario: di scrittore che stando da solo confessava di non annoiarsi mai, di scrittore che del deserto aveva fatto lo scenario di uno dei suoi libri più genialmente scandalosi e sconcertanti: La Piramide.

Il senso della morte e il dolore avevano in realtà assediato Palazzeschi fin dagli anni della giovinezza: una giovinezza – ancora sue ammissioni – “turbata e quasi disperata”, alla cui fuoriuscita avevano contribuito in modo sostanziale l’esercizio della scrittura e la scoperta del comico. Proprio attraverso il comico Palazzeschi da vecchio aveva potuto firmare versi paradossali e irriverenti come quelli di Anche la morte ama la vita, in cui si immagina la nera signora che macabramente danza, rassicurandolo, con il morituro di turno: “«Stai pur tranquillo» / ti sussurra in un orecchio / «che non sono tanto brutta»”.

Ed a fugare la morte di Palazzeschi resta la sua arte, con un’opera letteraria, in versi e in prosa, senza la quale il Novecento sarebbe un’altra cosa. Ecco, freschi di stampa, tre volumi a lui dedicati: la raccolta completa delle sue interviste (Ritratti nel tempo. 1934-1974, a cura di Giorgina Colli, Edizioni di Storia e Letteratura), una silloge di scritti sparsi (ancora per le citate edizioni, Parco dei divertimenti, a cura di Sara Gelli), gli atti di un convegno promosso dall’infaticabile “Centro Studi Palazzeschi” (Aldo Palazzeschi e Venezia, a cura di Simone Magherini, SEF).

Marco Marchi 

Da Il Codice di Perelà

L’utero nero

Pena! Refe! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe… Re… La…
— Voi siete un uomo forse ?
— No, signore, io sono una povera vecchia.
— È vero, è vero sì, avete ragione, voi siete una povera vecchia, un uomo sono io.
— Voi che cosa siete signore ?— Io sono… io sono… molto leggero, io sono un uomo molto leggero; e voi siete una povera vecchia: come Pena, come Rete, come Lama, anche loro erano vecchie. Vorreste dirmi se quello che si vede laggiù, in fondo a questa via, è la città ?
— Sì.
— Quella che si vede laggiù… sarebbe forse la casa del Re ?
— Quella è la porta della città. La casa del Re è situata nel mezzo, ed è circondata da mura, e guardata dai vigili. Quei cittadini uccidono sempre il loro Re. Ora è Re Torlindao. Voi andate alla città signore ?
— Sì.
— Ci sarete fra poco. Di dove venite?
— Di lassù.
— Non vi hanno mai veduto in città?
— Ci vado per la prima volta.
— Guardate guardate quella nuvola di polvere che viene verso di noi, sono i vigili del Re, è la scorta a cavallo, vengono per fare la perlustrazione nelle vicinanze, io vi saluto, addio, addio signore, vedendomi qui con voi potrebbero sospettare, sappiate. Gli rispondere nel caso, voi potete colpire i loro occhi. Addio, buon viaggio.

— Hai veduto come lo abbiamo impolverato? Non si capiva più che cosa fosse.
— Quando siamo stati vicini mi è sembrato di averlo visto scomparire.
— Scomparire?
— Sicuro, anche a me.
— Ma quello non era un uomo sapete!
— Che cos’era sentiamo?
— Sembrava una nuvola.
— Lo abbiamo ricoperto di polvere, una nuvola sembriamo noi caro mio, su questa porca strada !
— No no, l’ho veduto prima che la strada fosse invasa dalla polvere, è un uomo di fumo!
— Imbecille!
— Va’ là, uomo di fumo, sarà un arrosto di asino, hai sbagliato.
— Io gli ho visto benissimo le scarpe.
— Aveva degli stivaloni lucidi come quelli dei nostri ufficiali.
— Ma è un cavaliere antico però.
— Fermiamoci un momento.
— Perché non torniamo indietro?
— Per far che?
— Per vederlo, almeno per interrogarlo.
— Per mente io non faccio un passo di più.
— Scommettiamo.
— Che cosa?
— Dite voi.
— Un paio di stivali come quelli del tuo asino antico, asino alla moda!

Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe… Re… La…
— Ehi, galantuomo, dove andate?
— Alla città.
— Ci sapete dire un po’ che razza di bestia siete?
— Io sono… molto… un uomo.
— Voi siete poco un uomo, di uomo mi sembra non abbiate che le scarpe.
— Di dove venite?
— Di lassù.
— Bel discorso, ehi galantuomo, lo sapete con chi parlate?
— Con la scorta del Re.
— Meno male, allora le ciarle sono inutili.
— Dimandiamogli di che cos’ è.
— Domandaglielo te, imbecille.
— Di che cosa siete signore ?
— Io sono… molto leggero.
— Volevo dire: di quale materia è formato il vostro corpo ?
— Fumo.
— L’avevo detto! Ecco! Ecco! È un uomo fumo. Un uomo di fumo! Fumo! Fumo! Fumo!
— Taci marmocchio, se non vuoi andare anche te in fumo.
— Ma egli ha ragione!
— Perchè ostinarsi poi?
— Non si vede bene tutti?
— Fumo! Fumo! Fumo!
— Taci…
— Ma no che è vero, ha ragione.
— A voi sta a cuore la vostra scommessa, ecco.
— Come sono belle quelle scarpe !
— Tacete…
— Ma è inutile, è vero.
— Fumo! Fumo! Fumo!
— Lo vediamo tutti.
— Andiamo a dirlo al Re?
— Andiamo a dirlo al Re.
— Sì sì, andiamo.
— Può aver piacere di vederlo.
— Chi sa che cosa dice!
— Un uomo di fumo!
— Fumo! Fumo! Fumo!

Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe… Re… La….
— Niente per il dazio signore? Galantuomo non fate da sordo! C’avete niente? Dentro le scarpe?
— Io sono… molto leggero.
— Eh caro mio, ci sono delle cose molto leggere che pagano il dazio. Coi vostri stivaloni potreste frodare benissimo il governo. Che tipo buffo !
— Hai veduto che strano colore ?
— Colore della nebbia caro mio.
— No!
— Che c’è?
— Ho capito.
— Che cosa?
— È di fumo!
— Ah! ah! ah! ah! ah!
— Sì, è di fumo !
— Venite a sentire, ha visto passare un uomo di fumo.
— Sicuro.
— Ah! ah! ah! ah! ah!
— Pazzo!
— Quanto gli hai fatto pagare?
— Tipo ameno te e lui.
— Vi assicuro, non poteva essere altrimenti egli ha detto di essere molto leggero, l’ ho visto bene da vicino!
— Ah! ah! ah! ah!

Chi sono?

Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
«follìa».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore 
la tavolozza dell’anima mia:
«malinconia».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
«nostalgia».
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

Aldo Palazzeschi

(da Il Codice di Perelà e da Poemi)

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