Eugenio MontaleFirenze, 30 settembre 2014 – Sfida all’ultimo “mi piace” e all’ultimo commento, quella del mese di settembre.

Post medaglia d’oro, alla fine, Montale e gli uomini che non si voltano, e cioè Montale con un classico “osso breve” della sua prima, storica raccolta Ossi di seppia. Al secondo posto, a ruota, Anniversario Maria Callas 1977-2014 (con una poesia di Pasolini), e cioè un’affermazione dell’indelebile, affettuoso ricordo di cui gode  Maria Callas  attraverso una lirica bellissima di Trasumanar e organizzar di Pier Paolo Pasolini quale, per via citazionale verdiana (dal Trovatore), Timor di me?. Terzo gradino del podio infine, ma ancora con un minimo scarto di voti, per Andrea Camilleri con l’augurio unanime dei followers del blog all’amatissimo padre di Montalbano: Buon compleanno, Camilleri!.

Tra i piazzamenti d’onore piace ricordare, in rappresentanza della grande poesia internazionale, Orfeo ed Euridice secondo Rilke. Che testo anche questo, amici: da brividi! E che poeta! E ancora, con un narratore formidabile in versione poetica, Tozzi e le antiche torri di Siena.

Al prossimo mese, con altre notizie di poesia ed altre ideali classifiche!

Marco Marchi

Montale e gli uomini che non si voltano

VEDI I VIDEO “Forse un mattino andando…” letta dal poeta , Videopoesia su lettura di Vittorio Gassman , Intervista a Montale (1966)

Firenze, 12 ottobre 2014 – Ricordando che il 12 settembre 1981 moriva a MIlano Eugenio Montale e segnalando, pubblicata di recente dalle romane Edizioni di Storia e Letteratura, l’importante, monumentale e accuratissima Bibliografia degli scritti su Eugenio Montale (1925-2008) a cura di Francesca Castellano e Sofia D’Andrea, con una premessa di Franco Contorbia.

Forse un mattino andando…

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco. 

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Eugenio Montale

(da Ossi di seppia, 1925)

I VOSTRI COMMENTI

Erika Olandese Volante
Il gesto atavico e mitico di Orfeo che si volta gettando irrimediabilmente lo sguardo sul mistero del Nulla, della dimensione “altra” del non essere, del non esistere, forse sta alle spalle di questa immagine montaliana, celebre ma mai abbastanza letta, mai abbastanza goduta. Un’immagine che forse trova il suo epigono in certi film contemporanei, frutto di un’epoca di consumismo e globalizzazione del gusto, ma aventi il pregio di mostrare l’interesse mai sopito dell’uomo verso le profondità insondabili della realtà, sempre oscuramente percepite al di là delle chimere della rappresentazione… Come in una celebre immagine alchemica, il saggio dà uno sguardo “oltre”, fuori da ogni illusoria ma rassicurante “Matrix”.

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Che bella sorpresa i video! Che bella sorpresa i video! La videopoesia fra l’altro è molto pasoliniana e poi non c’è niente da fare: Montale è Montale, anche quando legge Montale.

La videopoesia su lettura di Gassman è davvero un’idea! Complimenti. E Montale, naturalmente, è Montale.

Il nulla penetrato con un senso non comune, in un andare che ha l’aria di un risveglio cristallino e fragile, disturbato e disturbante; il vuoto “percepito” come “visione d’un istante”- così Montale si esprime altrove, sempre a proposito degli uomini che si voltano -, che atterrisce e obnubila fino alla perdita di sé e del proprio stare al mondo. L’esperienza (e non il concetto) del vuoto e del nulla non abbandona il poeta, non resta alle sue spalle; viceversa diventa parte della sua seconda natura e, in silenzio, consapevolmente, come e più di una dimostrazione irrefutabile, lo “accompagna” per strade battute da chi già “sa” e che il “buon senso” rifugge. Grazie.

Montale dichiara in poesia la sua consapevole professione di ateismo. C’è dolore, amarezza, paura, ma anche l’impossibilità di negare ciò che per Montale è il “vuoto” dell’esistenza. Da questa riflessione, fondata fortemente sulla profonda, spietata e disperata acquisizione di una cultura letteraria e filosofica, cercata soprattutto per fuggire da una deludente quotidianità, nasce l’affascinante “aridità” del mondo montaliano, sempre proiettato verso la frustrante e frustrata conquista di polle d’acqua e di vita, quasi specchiato nei Cretti di un artista come Alberto Burri. La presa di coscienza diventa allora un “segreto” terribile, difficile da confessare, addirittura indicibile, che trasforma l’uomo consapevole e razionale in un atterrito “ubriaco”, folle di vacuità, tristemente chiamato come tutti i lettori di questo poeta, ad un’elettività culturale che è amarezza, inettitudine ed incapacità di evoluzione trascendentale.

Montale ha descritto l’angoscioso istante rivelatore in cui avviene la scoperta del nulla. Sorpresa infatti dal gesto di voltarsi improvvisamente, la realtà si è rivelata nella sua inesistenza. Il successivo risorgere dell’illusoria realtà consueta non può cancellare l’esperienza miracolosa che il poeta dovrà chiudere in se stesso. Gli altri uomini che non si voltano mai ignorano tale inganno, anzi, vogliono ignorarlo. “Perché le apparenze non durano?” si chiedeva Ungaretti, “Perchè crei, mente, corrompendo?”.

Avere il coraggio di guardare la realtà fino in fondo, vuotando il bicchiere, l’amaro calice, senza alcunché di consolatorio. Perché la paura, la nostra misera presunzione non sta nel non poter conoscere ma nella presunta cognizione del nulla. E l’inganno è forse, almeno per me, l’unica via di fuga dalla follia. Nessuno, Montale, me l’ha detto meglio di te.

La bellezza di questa poesia è fuori discussione! Pensando a Mario Luzi e alla missione che egli, poco a poco, giunge ad attribuire a chi ha il privilegio oneroso di essere poeta mi viene alla mente una riflessione: il poeta, in fondo, per Montale, appare depositario di una verità “a priori”, come i poeti antichi, anche se per il poeta ligure, a differenza degli antichi e desolatamente, non per intervento divino. Forse, un giorno, il poeta avrà la prova di ciò che dentro di sé già conosce, e volgendosi indietro avrà la piena percezione di quel nulla, di quel vuoto, di quella mancanza di senso della cui esistenza già è consapevole. Dunque il poeta è colui che sa, ma non ha una missione da compiere, sarà soltanto lo sconsolato testimone di un segreto che terrà celato (“zitto tra gli uomini che non si voltano”). Ermione.

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