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Firenze, 10 ottobre 2014  Articolo pubblicato su “La Nazione” di oggi.

Un secolo di “Canti Orfici”. Celebrare Campana anche con la prosa lirica

Anno di centenari letterari, il 2014; e centenari di poesia, in particolare, che vedono protagonisti Firenze e la Toscana tutta. Fra di essi, importante, i cento anni di un libro che è un classico tra i più affascinanti del nostro Novecento: i mitici Canti Orfici di Dino Campana, apparsi nel 1914 dopo che il manoscritto originario dell’opera, dal titolo Il più lungo giorno, con sommo dolore e somma indignazione del poeta era stato smarrito da Papini e Soffici.

Tra le iniziative promosse per onorare l’anniversario, sicuramente da segnalare quella del “Centro Studi Campaniani” di Marradi capitanato dalla dinamica Mirna Gentilini: un premio a tema, organizzato in collaborazione con “Il Fauno” di Firenze, dedicato, con un’idea che ha garantito e forse garantirà ancora alla gara originalità, alla “prosa lirica”: questo, secondo una doppia, scandita occasione tematica suggerita anch’essa dall’insigne modello degli Orfici, e cioè il paesaggio da un lato, le città dall’altro.

Duplice il tema, duplice la festa. Il premio giunge domani alla prima delle due serate di premiazione, in programma a Marradi, cui farà seguito il 15 novembre quella a Firenze in Palazzo Vecchio. In ambedue le occasioni a trionfare, al fianco dei vincitori, sarà la poesia di Campana: domani attraverso le letture di Maurizio Paganini e la musica di Francesco Chiari.

Marco Marchi

Viaggio a Montevideo

Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D’ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola…
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell’ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare:…
Lontani tinti dei varii colori
Dai più lontani silenzi!
Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d’oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l’ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un’isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell’equatore: finchè
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l’inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
Gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco:
selvaggia a la fine di un giorno che apparve
La riva selvaggia sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune. . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .

Dino Campana

(da Canti Orfici)

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