Firenze, 31 gennaio 2015 – E’ nel nome del grande Federigo Tozzi, qui nella un po’ anomala accezione di poeta e non come narratore ai vertici del Novecento, che inizia la serie 2015 dei nostri “post del mese” . Vince Tozzi con le quartine della sua suggestiva Maiolica dipinta, e come al solito chi vince al suo attivo, oltre ad un certo numero di “mi piace” e indicatori di gradimento analoghi,  anche una quota di motivati e motivanti commenti, che assieme ai  più sibillini e generici “mi piace” determinano di volta in volta  l’indice di gradimento del post stesso.

Quei commenti poi, come ben sapete, vengono riproposti  in appendice al post vincitore, premiato e ristampato: riproposti nel loro insieme, per una lettura sistematica e interattiva talvolta (come nel caso odierno, provare per credere) davvero illuminante e stimolante. E tra i commenti di questo mese vogliamo segnalare quello di Daniela Del Monaco, su tema selenico letterariamente allargato: La luna è da sempre citata dai poeti di ogni epoca e cultura: è ad esempio la meta del viaggio di Astolfo per ritrovare il senno di Orlando, la testimone di giuramento di amore di Giulietta, la compagna silenziosa delle rilfessioni del ‘pastore errante’ del Leopardi, o l’astro scoperto con commozione da Ciaula. Mi ha colpito molto l’immagine iniziale della luna tozziana, inesorabilmente lontana da ogni valenza positiva ma, anzi, simbolo di una malattia universale per la quale non esiste cura“.

Evviva Tozzi, evviva Tozzi poeta! E buon febbraio in poesia!

Marco Marchi

Il cuore precipitato. Tozzi poeta

VEDI I VIDEO La vita e le opere: “Tozzi, la scrittura crudele” , L’inizio del romanzo “Il podere” , Scene da “Con gli occhi chiusi” di Francesca Archibugi (1994)

Firenze, 2 gennaio 2015 – Ricordando che ieri ricorreva l’anniversario della nascita del grande scrittore senese Federigo Tozzi (1 gennaio 1883).

In Federigo Tozzi, continuativamente, gli occhi si chiudono. Si pensi a un titolo iridescente e bellissimo come quello del suo romanzo maggiore, Con gli occhi chiusi: quasi una sigla, un suggello di poetica compendiario persino di modalità culturali che l’esercizio dello scrittore ha ritenuto necessarie e imprescindibili, se gli occhi chiusi di una titolazione felicissima sottintende la psicologia del pragmatista americano William James non meno di letterarizzate suggestioni mistico-religiose.

Specchi d’acqua è una raccolta di versi di ispirazione esibitamente religiosa, da ricondurre agli anni della collaborazione dello scrittore a «L’Eroica» di Ettore Cozzani e della più intensa amicizia con Domenico Giuliotti.  Nelle quartine di Maiolica dipinta che abbiamo scelto per queste Notizie, inaugurato da uno di quei verbi di sensazione tipici dell’idioletto dello scrittore, il visionarismo culturalmente confortato di Tozzi si formalizza con esattezza in uno squarcio di universo jamesianamente percepito al di là del «nero schermo delle palpebre».

Tutto è rimasto intriso di tenebre: cupo, caliginoso, algido, oltretombale e sinistro come il gracchiare che a tratti interrompe il silenzio. Dominano immagini dell’abnormità e della malattia, della corruzione, della pesantezza e del buio: un universo oscuro in cui anche le più tipiche creature celesti come la luna e gli uccelli (Leopardi!) si sottraggono alla leggerezza e al tradizionale decorativismo lirico loro appannaggio, facendosi portavoce di una disfunzione che è di tutto l’esistente e svelando l’altra faccia della medaglia, il loro «crudo vero» sostanziale. A ribadire il falso, con esponenziale distanziamento rappresentativo rispetto alle illusorie e già fittizie superfici riflettenti presupposte dalla titolazione generale Specchi d’acqua, contribuisce il titolo della lirica: Maiolica dipinta, appunto.

La «veste» creazionale predicata dalla raccolta nei termini di una generosa elargizione del Signore si è del resto rivelata altrove, senza infingimenti o speranze residue, un «mantello» della disappartenenza, proprietà esclusiva di un Dio geloso. Compare al v. 10 del componimento l’«anima», ancora all’insegna di un verbo di sensazione come «sentire», ma slontanata, cronologicamente arretrata all’inizio del mondo e risoltasi a sua volta, adesso, secondo la memoria irresistibile dell’Eden, in uno sguardo a ciglio asciutto nello «specchio» di una fontana e in un abbraccio di compassione impaurita. Si torna prepotentemente a pensare ancora a Leopardi, e a ripensare a Dante e a Leopardi, insieme, nell’endecasillabo conclusivo della prima quartina: «che nell’asse infinito mi s’impernia».

È, per Tozzi, il day after della cacciata. Perduta l’anima, il distacco dal Paradiso terrestre spezza qualsiasi forma di solidarietà naturale e trasforma l’essere che avrebbe dovuto costituire l’immagine di Dio in reperto anatomico devitalizzato e inerte: un cuore precipitato, per sempre sospeso e insieme immobile (da «esausto, che trema», per il quale «il peso della terra è troppo lieve» del sonetto A Domenico Giuliotti). La «colpa» (la rima con «polpa» è dantesca: cfr. Inf. XXVII, vv. 71-72, Pur. XXXII, vv. 120-121, ma anche Pur. XXIV, vv. 80-81; e così, peraltro, «lontana»:«fontana», «deserta»:«erta», «dove»:«muove») si fa cardine e fondamento di un universo mortuario, notturno, abbandonato e desertico, in cui il nero delle sparute creature superstiti che lo abitano – bestie, cose e persone macchiate dal peccato – convive con il nero di ombre che nascondono nuove aggressioni e paurosi agguati.

La dimensione cosmica si riproporrà all’insegna del volontarismo e dell’auspicio liberatorio nel componimento immediatamente successivo della raccolta, specularmente e per contrapposizione anch’esso di quattro quartine, che simbolisticamente dice: «Noi sceglieremo una mattina chiara, / dopo il canto del gallo; e ce ne andremo, / forse per sempre, dove si prepara / la strada nostra. L’anima sia remo! // Ed i giorni saran nostri cavalli / con gli occhi aperti, del color dell’aria; / e sentiremo correr per le valli / una larga canzone planetaria» (39, vv. 5-12).

Gli occhi per un momento si riaprono, il «sonno dei canti» misteriosamente si infrange, la parola sgorga, ogni sete è placata: luminosità, il risveglio di una «larga canzone» di sapore dannunziano (pure in D’Annunzio «cenere dei sogni»), attimali ed improbablili ricongiungimenti a «sorgenti della giovinezza» che valgono però a riconfermare, dialetticamente,  i termini di un contrasto insanabile e una visione tragica del mondo.

Marco Marchi 

Maiolica dipinta

La luna mi pareva come un’ernia
di tutto il cielo simile alla polpa
d’un frutto marcio come la mia colpa,
che nell’asse infinito mi s’impernia.

E qualche uccello nero se ne andava
gracchiando alle pareti delle nebbie;
e le ombre lo battevan come trebbie.
E dopo solo e triste mi lasciava.

Ma non sì solo che Eva con Adamo
non sentissi in un’anima lontana;
e stringendoci insieme, a una fontana
senza lacrime poi ci specchiavamo.

E sopra la montagna più deserta
cadde il mio cuore; ma non so da dove.
E da quel luogo mai più non si muove,
come se fosse abbarbicato all’erta.

Federigo Tozzi 

(da Specchi d’acqua, in Le poesie, a cura di G. Tozzi, 1981)

I VOSTRI COMMENTI

Giacomo Trinci
Le quartine di Tozzi si svolgono in una musica irta e difficile, in una melodia impervia. La prima quartina è fitta di similitudini forti ed esplicite, come a negare ogni facile analogismo. Poi, improvvisamente, come da niente, ecco la terza quartina con quell’Eva con Adamo che emergono in primo piano, forzati alla violenza penosa di quell’anima lontana che preme e riporta l’antica immagine biblica. Rara potenza dell’evocazione e vertigine lirica di un poeta
dal dantismo congenito.

Aretusa Obliviosa
Un paesaggio della desolazione, sospeso fra reale e immaginario, che sembra quasi anticipare la ben più tarda scenografia desertificata e surreale della bellissima novella “Il crocifisso”. A sbattere le ali contro questo cielo di carta gli “uccelli neri”, presenze simboliche che in una dimensione onirica di grande suggestione incarnano i “neri pensieri” del poeta, ma anche echi letterari più o meno consapevoli ma certamente possibili e documentabili fra le letture del giovane Tozzi, a metà strada fra il nostrano Carducci e l’americano Poe (come giustamente è stato notato)

Yumiko Nakajima
In quesa poesia e’ piena degli elementi tozziani; Io associo la specchi d’acqua e l’acqua del pozzo (riflette la luna) che e’ espressa negli “Con gli occhi chiusi” e nel mondo delle tenebre. Nelle opere di Tozzi, e’ espresso il dolore e la perdita di se stesso.

framo
Persa l’origine (“ma non so da dove”), persa la prospettiva (“mai più non si muove”), disgregati nel corpo oltre che nello spirito (“cadde il mio cuore”, l’immagine sembra uscire dalla metafora), impossibilitati all’ascesa (il cielo è livido) e alla discesa nel profondo (le radici si aggrappano alla salita, non oltrepassano la superficie arida di un suolo inospitale), dunque cosa resta? La stretta dei dolenti, di ogni tempo e luogo, intorno ad una fonte del tutto prosciugata. Grazie.

Elisabetta Biondi Della Sdriscia
Mi chiedo, non conoscendo a fondo la formazione tozziana, se non si possa cogliere anche qualche eco di The Raven nella seconda quartina, con quell’allusione agli uccelli neri gracchianti… Davvero efficace l’immagine di quella luna malata che deturpa il cielo come la colpa l’anima! E poi c’è il tema, caro a Tozzi, della condanna dell’uomo alla solitudine, una solitudine che ci appare proprio “eterna” e “angosciante” come la definisce la Gucciarelli in “Tozzi. Il figlio in croce”. Una proposta di grande interesse per iniziare un anno che mi auguro possa arricchirci interiormente e culturalmente. Ermione.

Daniela Del Monaco
La luna è da sempre citata dai poeti di ogni epoca e cultura: è ad esempio la meta del viaggio di Astolfo per ritrovare il senno di Orlando, la testimone di giuramento di amore di Giulietta, la compagna silenziosa delle rilfessioni del “pastore errante” del Leopardi, o l’astro scoperto con commozione da Ciaula. Mi ha colpito molto l’immagine iniziale della luna tozziana, inesorabilmente lontana da ogni valenza positiva ma, anzi, simbolo di una malattia universale per la quale non esiste cura.

m
Concordo: nonostante l’abito stilistico-citazionale non calzi a pennello, il nucleo della poetica di Tozzi si riconosce subito. Come se la sua prorompente creatività stesse cercando una via d’espressione, un contenitore in grado di regger all’urto di un’energia travolgente.
Insomma, Tozzi è sempre Tozzi, corrusco, sensibilissimo e nero.

tristan51
Bella la prima quartina! E anche la seconda… Pure in versi e con il ricorso a Dante l’espressionismo di Tozzi si lascia cogliere, Tozzi si fa riconoscere.

Marco Capecchi
Bello iniziare l’anno con una poesia di Tozzi, nato il 1 gennaio 1883. Non commento la poesia: sono un appassionato tozziano, ma non riesco ad apprezzare le sue poesie. Scrivo ugualmente però su questo blog per rendere omaggio ad uno dei più grandi prosatori del ‘900 e per augurare a tutti un felice e sereno 2015.

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