VEDI I VIDEO “Meditazione orale” letta da Pier Paolo Pasolini, con musica di Ennio Morricone , Omaggio a Pasolini , “A Pa’”cantata da Francesco De Gregori e Lucio Dalla , “Profezia” letta da Toni Servillo

Firenze, 5 marzo 2015 – Ricordando che il 5 marzo 1922 nasceva a Bologna Pier Paolo Pasolini.

La storia di questa strepitosa Meditazione orale la attingiamo direttamente dal web. Ennio Morricone doveva scrivere un pezzo da inserire nel disco commemorativo per le celebrazioni di Roma Capitale: era il 1970 e se ne festeggiava il centenario. Il musicista chiese a Pasolini di scrivere un testo per poi inciderlo con la sua voce, e questo avvenne in un disco RCA, realizzato, pubblicato e presto scomparso.

Per maggiori dettagli sull’episodio e su altre collaborazioni musicali Di Pasolini, con Morricone e con altri musicisti,  si può vedere, attingendo ancora dal web, http://www.pasolini.net/4tesimy_capitoloprimo02.htm  Per i rapporti strettissimi e fondativi intercorrenti tra musica e poesia a livello di poetica si vedano invece questi versi pasoliniali attualisticamente testimoniali, retrospettivi e insieme intimamente profetici, datati 1966, già provenienti cioè da un secondo Novecento della crisi, della contestata e discussa ridefinizione letteraria dei ruoli e delle pertinenze, della caduta delle speranze.

In Poeta delle Ceneri – quasi un consuntivo – Pasolini si affida ancora una volta all’«io», a un «io» da autoritratto tragicamente storicizzato, avviato ai traguardi da «tetro entusiasmo» di chi alla musica e alla poesia come a vere, praticabili ed esaltanti forme di speranza si era rivolto: ai suoni del «celeste Bach», ma anche, con la musica sublime di Bach promossa a esistenziale colonna sonora del reale e poi del cinema che quel reale avrebbe più agevolmente dovuto catturare, a quel fisico, anonimo e sensuale «brusio della vita» che la sera molte volte, un tempo, gli recapitava; lui il poeta settentrional-regressivo, pascolian-friulano di «Sera imbarlumida tal fossàl / a cres l’aga…» e del «nini muàrt» (testi certo non a caso, polemicamente e contraddittoriamente riscritti nella terminale, circolare Nuova gioventù), lui partecipe e discusso testimone di eventi civili e intime eclissi costantemente misurate tra corpo e musica, perso dietro all’apparizione cromatica di un glicine, di un albero che profuma.

«Io vorrei – ecco la sua voce spoglia e pedagogicamente atteggiata, che pure così ritrova la sua musica – soltanto vivere / pur essendo poeta / perché la vita si esprime anche solo con se stessa. / Vorrei esprimermi con gli esempi. / Gettare il mio corpo nella lotta. / Ma se le azioni della vita sono espressive, / anche l’espressione è azione. / Non questa mia espressione di poeta rinunciatario, / che dice solo cose, / e usa una lingua come te, povero diretto strumento; / ma l’espressione staccata dalle cose, / i segni fatti musica, / la poesia cantata e oscura, / che non esprime nulla se non se stessa». Un rimpianto, la musica, e ancora un desiderio, una «sete» per un poeta nuovamente tentato da un oscuro invito a ridefinirsi, a credere in trasformazioni per via di strane metafore e suoni, ad accrescimento e soccorso del mondo, per «amore della vita».

«Non farò questo con gioia – continua la voce –. Avrò sempre il rimpianto di quella poesia / che è azione essa stessa, nel distacco dalle cose, / nella sua musica che non esprime nulla / se non la propria calda e sublime passione per se stessa. / Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con degli strumenti / dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto / sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta / innocenza di querce, colli, acque e botri, / e lì comporre musica / l’unica azione espressiva / forse alta, e indefinibile come le azioni della realtà».

Un sogno contraddetto e nel contempo sublimato da una morte il cui alto valore simbolico, sacrificale e in questo di significato civile, riapre di continuo in Pasolini, rendendolo inesauribile, il discorso relazionale individuo-società, e insieme potentemente lo suggella.

Marco Marchi

Meditazione orale

Che Roma fosse città coloniale
dove venire in vacanza.
Ne dimorarono molti, poeti non socialmente determinati
liberi dalla burocrazia e con un po’ di paura della polizia;
né mancarono i bei soli, in questo secolo;
ciò che scompariva dava un breve dolore,
l’unico vero dolore era nei sogni; nei sogni in cui pareva
di essere costretti a lasciare questa città per sempre!
Non si piange su una città coloniale, eppure
molta storia passò sotto questi cornicioni
(col colore del sole calante)
e fu spietata;
fu una scommessa tra i fascisti e i liberali;
inaspettatamente questi ultimi, imbelli e anche un po’ buffi,
(meridionali delicati di fegato)
l’ebbero vinta. I forti furono battuti;
molta storia passò all’ombra dei Ministeri,
ma che lacrime fossero sparse in sogno per questa città
ciò sa di miracoloso, è quasi incomprensibile;
lacrime violente, che parevano sparse sul cosmo;
le lacrime degli addii alle partenze senza ritorno
Poi ricominciava la vacanza
e una sete insaziabile di solitudine
Molta storia passò su questo asfalto
e lungo i muretti di pietra, insensibili al sole d’agosto,
molta storia. I vecchi parlamentari onestamente
con solennità sedentaria
ripresero il loro posto, or ridenti or severi
verso i loro elettori, condividendone la pace col mondo:
a ognuno il suo realismo!
Avevano vinto la scommessa nel Settentrione eroico
nel Meridione segreto
e un sorriso popolare o una serietà piccolo borghese
insomma la ritrovata dignità
riportò pellegrinaggi di poeti liberi da classe sociale,
senza obblighi né orari
sì che dopo il pianto, la cosa più incredibile
fu quel desiderio di solitudine,
che dava una felicità completa e tenuta tutta per sé.
Gli occhi che avevano pianto in sogno
ora guardavano
senza limiti di tempo o scadenze,
con pomeriggi o notti intere davanti,
in cui non accadeva che ciò che la storia dimenticava.
Oh, certo, non fu serio;
fu una vacanza
Tutto doveva poi essere ragione di rimprovero;
Roma fu sede di nuove battaglie.
Da dove erano discesi questi barbari?
Beh, erano nati qua, a Via Merulana, a Piazza Euclide,
a Centocelle: e infatti bastava che impallidissero un po’,
ed ecco le facce dei loro padri, o sconfitti o vittoriosi,
ma tutti perduti nel passato in cui le lacrime non contano
e il desiderio di solitudine non è serio;
la storia ricominciò a passare,
ma ai posteggi verso le quattro del pomeriggio c’era calma e sole,
dietro al Quadraro i prati erano deserti.

Pier Paolo Pasolini

(da Meditazione orale, Luca Sossella Editore)

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