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Firenze, 1 aprile 2015
Il Golem
Se (come afferma il greco nel Cratilo)
il nome è l’esemplare della cosa,
la rosa è nelle lettere di rosa
e tutto il Nilo nella voce Nilo.
E, fatto di vocali e consonanti,
sarà un Nome tremendo, che l’essenza
cifri di Dio e che l’Onnipotenza
serbi in lettere e sillabe calzanti.
Adamo e gli astri l’hanno conosciuto
nell’Eden. La tignola del peccato
(dicono i cabalisti) l’ha intaccato
e le generazioni l’han perduto.
Il candore dell’uomo e i suoi inganni
non hanno fine. È risaputo come
il popolo di Dio cercasse il nome
nelle veglie del ghetto, in capo agli anni.
Al contrario di altre che una vaga
ombra insinuano nella vaga storia,
è ancora verde e viva la memoria
di Giuda Leon, che era rabbino in Praga.
Saper ciò che sa Dio fu sua soave
sete. Giuda tentò permutazioni
Di lettere e complesse variazioni
E infine enunciò il nome che è la Chiave,
La Porta, l’Eco, l’Ospite e il Giardino
sopra un pupazzo che con goffe mani
sbozzò, per istruirlo negli arcani
del Tempo, dello Spazio e del Latino.
Il simulacro alzò le sonnolenti
palpebre e percepì forme e colori
che non intese, persi fra i rumori,
e azzardò timorosi movimenti.
Presto si vide (al pari di noialtri)
imprigionato in questa stia sonora
di Prima, Dopo, Ieri, Mentre, Ora,
Destra, Sinistra, Io, Tu, Quelli, Altri.
(Il cabalista che operò da nume
la sua vasta creatura chiamò Golem;
queste notizie le tramanda Scholem
in un passo del suo dotto volume.)
Il rabbi gli spiegava l’universo
(qua il mio piede, là il tuo; qua la catena)
e ottenne, dopo anni, che il perverso
spazzasse il tempio di mediocre lena.
Forse vi fu un errore di grafia
o di enunciazione nel nome arcano;
l’umana lingua, contro ogni magia,
mai non apprese l’apprendista umano.
Quegli occhi, meno d’uomo che di cane
e ancor meno di cane che di cosa,
seguivano il rabbi per la dubbiosa
penombra delle celle quotidiane.
Un che di avverso e torvo era nel Golem:
al suo passaggio il gatto del rabbino
se la batteva. (Il gatto non è in Scholem
ma io, attraverso il tempo, lo indovino).
Elevando al suo Dio mani filiali
le devozioni del suo dio copiava
o, beota e sorridente, si impacciava
in concave moine orientali.
Il rabbi lo guardava con dolcezza
e un po’ di orrore. Perché mai ho creato
(pensava) questo figlio sventurato
lasciando l’inazione, che è saggezza?
Perché aggregare all’infinita serie
un simbolo di più? Perché alla vana
matassa che in eterno si dipana
altra causa, altro effetto, altre miserie?
Nell’ora dell’angoscia e luce vaga,
sul suo Golem lo sguardo soffermava.
Chi ci dirà le cose che provava
Dio, contemplando il suo rabbino in Praga?
El Golem
el nombre es arquetipo de la cosa
en las letras de ‘rosa’ está la rosa
y todo el Nilo en la palabra ‘Nilo’.
habrá un terrible Nombre, que la esencia
cifre de Dios y que la Omnipotencia
guarde en letras y sílabas cabales.
en el Jardín. La herrumbre del pecado
(dicen los cabalistas) lo ha borrado
y las generaciones lo perdieron.
no tienen fin. Sabemos que hubo un día
en que el pueblo de Dios buscaba el Nombre
en las vigilias de la judería.
sombra insinúan en la vaga historia,
aún está verde y viva la memoria
de Judá León, que era rabino en Praga.
Judá León se dio a permutaciones
de letras y a complejas variaciones
y al fin pronunció el Nombre que es la Clave,
sobre un muñeco que con torpes manos
labró, para enseñarle los arcanos
de las Letras, del Tiempo y del Espacio.
párpados y vio formas y colores
que no entendió, perdidos en rumores
y ensayó temerosos movimientos.
aprisionado en esta red sonora
de Antes, Después, Ayer, Mientras, Ahora,
Derecha, Izquierda, Yo, Tú, Aquellos, Otros.
a la vasta criatura apodó Golem;
estas verdades las refiere Scholem
en un docto lugar de su volumen.)
“esto es mi pie; esto el tuyo, esto la soga.”
y logró, al cabo de años, que el perverso
barriera bien o mal la sinagoga.
o en la articulación del Sacro Nombre;
a pesar de tan alta hechicería,
no aprendió a hablar el aprendiz de hombre.
y harto menos de perro que de cosa,
seguían al rabí por la dudosa
penumbra de las piezas del encierro.Algo anormal y tosco hubo en el Golem,
ya que a su paso el gato del rabino
se escondía. (Ese gato no está en Scholem
pero, a través del tiempo, lo adivino.)Elevando a su Dios manos filiales,
las devociones de su Dios copiaba
o, estúpido y sonriente, se ahuecaba
en cóncavas zalemas orientales.
El rabí lo miraba con ternura
y con algún horror. ‘¿Cómo’ (se dijo)
‘pude engendrar este penoso hijo
y la inacción dejé, que es la cordura?’
‘¿Por qué di en agregar a la infinita
serie un símbolo más? ¿Por qué a la vana
madeja que en lo eterno se devana,
di otra causa, otro efecto y otra cuita?’
En la hora de angustia y de luz vaga,
en su Golem los ojos detenía.
¿Quién nos dirá las cosas que sentía
Dios, al mirar a su rabino en Praga?
Jorge Luis Borges
(1958)
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