VEDI I VIDEO La vita e le opere: “Tozzi, la scrittura crudele” , L’inizio del romanzo “Il podere” , Scene da “Con gli occhi chiusi” di Francesca Archibugi (1994) , Passeggiata tozziana

Firenze, 14 maggio 2015 – «Santa Caterina – afferma Federigo Tozzi in un suo testo saggistico – ci sbarazza di tutto ciò che ci impedisce di giungere al nostro io più profondo. E siccome a lei era aperta e manifesta ogni anima, ella poteva scrivere le sue lettere con la certezza di essere su la verità» (Prefazione a Santa Caterina da Siena, Le cose più belle).

L’ardore di carità fattosi scrittura di Santa Caterina rimarrà però per lo scrittore un agognato punto di riferimento ed un anelito; la sua poetica volgerà piuttosto, stabilizzandosi, a un leopardiano «stare nella disperazione» scientificamente accertato attraverso le letture di William James, Janet, Bergson, Ribot, la «Revue Philosophique» e perfino un compendio d’autore del Tre saggi sulla sessualità di Freud .

Tozzi poeta potrà così tornare a rileggersi in una delle sue liriche dei Fascicoli: «Se questi soli spariscono mozzi, / ben altro sole l’anima travide / per gli occhi che d’azzurro sono pozzi» (Sotto la morte); potrà momentaneamente raccomandarsi o presumere di riconoscersi –  in sintonia con Colui che si guarda nella fonte –  come ai tempi di Specchi d’acqua: «Oh, poterti toccare, paradiso; / carne armoniosa ed umida di luce! […] / Ritorna, Cristo, perché troppo è stata / mietuta dal dolor la specie umana. […] / Signor che taci con amor paterno / l’anima comprendendo ti rispose» (A Dio); persino, come avviene in Canto gregoriano, escogitare identità da finale di componimento quali «il mio silenzio è come te Signore!».

La tonante voce di silenzio di un Dio-padre testualmente attivo nel giovanile poema in prosa Paolo nei termini di un conflitto fra chi detiene il Logos e un superomistico eroe  sconfitto, illuso a tal punto da nobilitare la propria solitudine in «un’imagine di Dio», riconduce per via di «misteriosi atti nostri», scientificamente accreditati e fondanti una poetica, alla radice etimologica stessa di un neotestamentario mystèrion (myein, chiudere): farsi «muti» e «miopi», chiudere labbra e occhi per «intra-vedere» (cfr. G. Ravasi, in «Il Sole-24 ore», 1 ottobre 1995).

L’incidenza di buone novelle, fedi comunicabili e risolutivi indirizzi ideologici cui potersi attenere si ferma qui: un «laicismo da privazione», in sostanza, secondo l’ottima definizione di Luigi Baldacci (Tozzi moderno, Einaudi 1993). Sulla riattivata trasmissibilità di un incalco spezzato che torna ad essere forma perfetta prevale in Tozzi, anche a sentirsi o volersi finalmente sentire figli di un padre, una moderna «somiglianza inesplicabile» (L’incalco).

Lo scrittore stesso risponde al volontarismo di Santa Caterina (un tutt’uno immaginoso con il «capo spinato di Cristo crocifisso» cui la volontà, «crociando» il proprio, si conforma) con assertive definizioni da trattato scientifico del tipo «Noi siamo sottoposti alla volontà incosciente» (Il mio egoismo, in Barche capovolte). Se per Santa Caterina anche «La memoria diventa una cosa con Cristo crocifisso» (La memoria e Cristo, in Le cose più belle), per il bergsoniano e prefreudiano Tozzi «La nostra coscienza è il resultato di comparazioni che avvengono a nostra insaputa» (Contentezza di sé).

Ciò nonostante (proprio per questo) Tozzi continua a cantare, ad aggiornare la sua espressione artistica fino all’atto cruento che deciderà della sorte di un suo personaggio assassinato nei campi – in  un romanzo intitolato Il podere in cui inaspettatamente anche il padre morente del protagonista si farà Cristo in croce – , tra pampini e grappoli d’uva acerba: «O mio crociato amore, non istare; / insanguina le vigne ch’hai piantate: / è la tua ploia questa dell’estate, / quando l’aridità vuol soffocare» (Santa Caterina, in La città della Vergine).

Marco Marchi

Cristo

Con una veste rossa per dileggio
ti portano nel mezzo di una piazza.
E piove. Un uomo del bestial corteggio
batte su la tua carne pavonazza.

Ma, come se volesse farti peggio,
la turba ridacchiando si sollazza
se alcuno dice: O Cristo, ti schiaffeggio!
E il tuo sangue lo bagna come guazza.

Anche tieni una canna con le mani,
non pensando ai fuggiti tuoi seguaci
e alla pioggia che t’entra nei capelli.

Oh, come ti si schiudono i lontani
cieli della bontà, mentre tu taci;
e quanto ti confortano più belli!

Crocefissione

Silenzio immenso. Si ode gocciolare
il sangue dalle gambe di Gesù.
I due ladroni vogliono ascoltare;
ma le teste si piegano di più.

Ed ecco dalla strada lunga appare
Maria e le donne della sua tribù.
Elle si vedon molto lacrimare,
e Cristo si distorce e guarda giù.

I lor grandi mantelli son vermigli;
e una luce potente e misteriosa
batte su i loro volti come gigli.

Forse, è la luna bianca e dolorosa?
Ma par che a un tratto il sangue si rappigli
su la croce; e Gesù morto riposa.

Federigo Tozzi

(da La zampogna verde, 1911)

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