31 maggio 2015 – A imporsi tra i post del mese di maggio è quello leopardiano, Leopardi e la vanità del tutto, con uno dei più celebri e intensi testi dei Canti, A se stesso.

Al secondo e al terzo posto del podio odierno, dopo l’Ottocento magnificamente rappresentato da Giacomo Leopardi, ancora la poesia italiana, ma del Novecento primo e secondo, con due classici che non hanno bisogno di presentazioni che ne garantiscano in qualche modo al lettore la qualità e il valore storiografico: Carlo Betocchi e Giuseppe Ungaretti, rispettivamente con Sono un uomo che muore. Anniversario Betocchi e Ungaretti, la guerra, i fratelli.

Menzioni d’onore per un autore che tanto raccoglie consensi (giustamente) all’interno del nostro blog, Rainer Maria Rilke, e per un altro beniamino delle Notizie di poesia che risponde al nome di Aldo Palazzeschi: poeti segnalati rispettivamente per Declinazioni del Tu. Rainer Maria Rilke e Palazzeschi e il poeta sepolto vivo. Rileggete Sei il futuro, Tu e Postille, due testi così diversi che ci dimostrano tra l’altro come la poesia possa essere, restando poesia, le più disparate cose!

Tra i commenti dedicati al post leopardiano risultato vincitore, selezioniamo oggi quello di Elisabetta Biondi Della Sdriscia che convincentemente nota, con sensibilità e strumentazione tecnica parimenti notevole cooptate nel giudizio: “Brevi e frammentate, soprattutto nella prima parte, quasi sussurrate, come ci suggerisce l’allitterazione ripetuta dei fonemi ‘s’ e ‘p’, sono le parole del poeta, a cui il ripetersi del suono aspro del fonema ‘r’ conferisce anche risentita amarezza. Al ritmo spezzato e franto del verso si contrappone, però, il suo ripetuto inarcarsi sul verso successivo, quasi a dilatare la validità delle asserzioni fatte, a voler sottolineare il passaggio dalla dimensione personale a quella universale, filosofica. Al poeta resta, amara, la consolazione di aver compreso ‘l’inganno estremo’, di aver capito che ‘ascoso, a comun danno impera’ un’entità malvagia (Arimane?) e che ‘Al gener nostro il fato/ non donò che il morire’. Ora può distaccarsi da tutto e da tutti. Sconsolato, ma immenso“.

Ma ci piace molto anche il commento di Aretusa Obliviosa, incentrato su quello che potremmo definire, tanto per intenderci, una sorta di sperimentabile “effetto Leopardi”- Il cuore è stanco, il desiderio è spento, non una sola illusione che valga un palpito – scrive la dannunziana Aretusa –. Ma anche quando la poesia risulta del tutto spogliata dell’illusione stessa, quando ormai non resta che ‘l’infinita vanità del tutto’, il nostro Leopardi continua magnificamente ad essere poesia sublime“.

Buona lettura e a domani, con la poesia di un grande su scala mondiale di cui proprio oggi ricorre il compleanno! Classe 1819, notissimo, vediamo chi indovina…

Marco Marchi

Leopardi e l’infinita vanità del tutto

VEDI I VIDEO “A se stesso” letta da Giorgio Albertazzi , … Vittorio Gassman , … e Carmelo Bene , “A se stesso” poesia in video“A Giacomo Leopardi” di Pietro Mascagni (1898)

Firenze, 12 maggio 2015

A se stesso

Or poserai per sempre,
s
tanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
c
h’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
i
n noi di cari inganni,
n
on che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
p
alpitasti. Non val cosa nessuna
i
moti tuoi, né di sospiri è degna
l
a terra. Amaro e noia
l
a vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
n
on donò che il morire. Omai disprezza
t
e, la natura, il brutto
p
oter che, ascoso, a comun danno impera,
e
l’infinita vanità del tutto.

Giacomo Leopardi

(Canti)

I VOSTRI COMMENTI

tristan51
Scabra e calcolatissima partitura giocata, tra musica e invenzione, su nessi coordinativi parificanti e scansioni sonore raggelate, da battito cardiaco allo stremo. Capolavoro.

m
“E lo stesso conoscere l’irreparabile vanità e falsità di ogni bello e di ogni grande è una certa bellezza e grandezza che riempie l’anima, quando questa conoscenza si trova nelle opere di genio. E lo stesso spettacolo della nullità, è una cosa n queste opere, che par che ingrandisca l’anima del lettore […]. […] il sentimento del nulla, è il sentimento di una cosa morta e mortifera. Ma se questo sentimento è vivo, come nel caso ch’io dico, la sua vivacità prevale nell’animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire, e l’anima riceve vita (se non altro passeggiera) dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e sua propria”. (Zibaldone, 260-1)

Anita Mueller
… Leopardi è stato il primo nella cultura occidentale a mostrare che la verità, come visione autentica delle cose, mette in luce il loro uscire dal nulla e il loro ritornare nel nulla. Si tratta, a ben vedere, dei grandi temi dell’ontologia greco-moderna. Se l’uomo appartiene al movimento dell’uscire dal nulla e del ritornare nel nulla, allora la contemplazione di questo movimento – come dice Leopardi in uno dei suoi Pensieri – “è verissima pazzia”. “Pazzia”, perché chi guarda la nullità, propria di sé e delle cose, non può che essere isterilito in ogni volontà di sopravvivere. La “pazzia”, inoltre, è “verissima” perché mostra come stanno effettivamente le cose (Emanuele Severino, Le ‘Opere di Genio’: Leopardi, intervista di Renato Parascandolo rilasciata a Napoli nella sede Vivarium il 4 giugno 1993) …

Erika Olandese Volante
Ancora oggi sta a Leopardi ricordarci, farci vivere e sentire l’immensita del nulla: il dolore si dilata e diviene universalmente umano. Pochi versi che dischiudono
una vertigine… un piccolo momento di godimento estetico e filosofico.

Marco Capecchi
Un grande Poeta che attende di essere menzionato nei testi di filosofia.

Aretusa Obliviosa
Il cuore è stanco, il desiderio è spento, non una sola illusione che valga un palpito. Ma anche quando la poesia risulta del tutto spogliata dell’illusione stessa, quando ormai non resta che “l’infinita vanità del tutto”, il nostro Leopardi continua magnificamente ad essere poesia sublime.

Elisabetta Biondi Della Sdriscia
Brevi e frammentate, soprattutto nella prima parte, quasi sussurrate, come ci suggerisce l’allitterazione ripetuta dei fonemi “s” e “p”, sono le parole del poeta, a cui il ripetersi del suono aspro del fonema “r” conferisce anche risentita amarezza. Al ritmo spezzato e franto del verso si contrappone, però, il suo ripetuto inarcarsi sul verso successivo, quasi a dilatare la validità delle asserzioni fatte, a voler sottolineare il passaggio dalla dimensione personale a quella universale, filosofica. Al poeta resta, amara, la consolazione di aver compreso “l’inganno estremo”, di aver capito che “ascoso, a comun danno impera” un’entità malvagia (Arimane?) e che “Al gener nostro il fato/ non donò che il morire.” Ora può distaccarsi da tutto e da tutti. Sconsolato, ma immenso.

Giulia Bagnoli
Dopo “Il pensiero dominante”, “Amore e morte” e “Consalvo”, il poeta sembra cadere violentemente nel buio: non più la passione estrema che aveva ispirato i canti precedenti, ma l’indifferenza di chi ha perduto l’ultima speranza: “Ormai disprezza”. Se nel “Pensiero dominante” l’amore era un “dono del ciel”, in “Amore e morte” l’unica cosa bella al mondo, e in “Consalvo” un palpito del cuore, qui non è che vanità. Citando le Scritture, ma senza nessun sentimento religioso, Leopardi ammette la vanità di tutto ciò che esiste, compreso l’amore. Ma se tutto è vano, anche il suo dolore lo è. Il poeta sembra infatti essere oltre la disperazione: è assente, indifferente.

Giulia Bagnoli
Una poesia caratterizzata dalla disillusione, a causa dell’amore non ricambiato per Fanny Targioni Tozzetti. Un forza malvagia (“brutto poter”) cieca ai bisogni degli uomini, governerebbe il mondo, condannandolo all’inutilità. Non più l’amore e la morte (“cose quaggiù sì belle / altre il mondo non ha, non han le stelle”), ma soltanto la morte, come unica consolazione: “Al gener nostro il fato / non donò che il morire”. Il tanto caro e unico Leopardi!

tristan51
“Perir gl’inganni” (1822, “Ultimo canto di Saffo”); “Perì l’inganno estremo” (1835, “A se stesso”).

framo
A nulla valgono i moti terminali di un cuore stanco di fronte all’evidenza del “bruto poter che … a comun danno impera”? La “dura nutrice” – qui natura, terra, vita, mondo … psicologica e filosofica perdizione -, infliggendo una condizione pressante e certa di dolore, insoddisfazione, impotenza e minaccia di estinzione, ha annichilito e, per certo, “può annichilire tutto”. Come non soccombere sotto il peso del dispiacere dato dal “vero dell’aspra sorte”, consci, come non mai, della “infinita vanità del tutto”? Leopardi docet: cedere, fino in fondo non recedere dalla disperazione estrema e ventura, vivere con “lucidità poetica” la dimensione della resa che mai sarà inerte se abbiamo ben in vista, e nel cuore, che si è “nati (solo) a perir”. Grazie.

Giacomo Trinci
Una lingua prosciugata, scandita da meravigliosi strappi, silenzi, pause che si fanno significati:questa la musica nuova di questo Leopardi sotto il segno dell’Ecclesiaste. La vanità del tutto diventa la musica rastremata di una mente abitata da meraviglia e sgomento, insieme.

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