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Firenze, 3 dicembre 2015 – Il 3 dicembre 1938 moriva a Milano Antonia Pozzi. Per favorire l’incontro con questa interessante e non sempre adeguatamente valorizzata voce femminile della poesia italiana del Novecento, proponiamo queste sintetiche note biografiche, desumendole direttamente da un video di YouTube.

«Antonia Pozzi nasce a Milano il 13 febbraio 1912 (…). Figlia di Roberto, importante avvocato milanese e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove inizia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che, a causa dei pesanti ostacoli frapposti dalla famiglia Pozzi, verrà interrotta dal Cervi nel 1933, procurandole la depressione – “e tu sei entrata / nella strada del morire”, scrive di sé in quell’anno – che contribuirà a condurla al suicidio.

Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, del quale sembra si innamorasse non ricambiata, le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. (…).

Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi tanti interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, conosce il tedesco, il francese e l’inglese, viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, dove è la sua biblioteca e dove studia, scrive e cerca un sollievo nel contatto con la natura solitaria e severa della montagna (…).

La grande italianista Maria Corti che la conobbe all’università, disse che “il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili”.

Avverte certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpiscono alcuni dei suoi amici più cari; “forse l’età delle parole è finita per sempre”, scrive quell’anno a Sereni.

Nel suo biglietto di addio ai genitori scrive di disperazione mortale e si uccide con i barbiturici. La famiglia negherà la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento fu però distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite; la storia d’amore con il Cervi sarà falsamente descritta come una relazione platonica. È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo».

Tutte le opere di Antonia Pozzi sono oggi edite, a cura di Alessandra Cenni, da Garzanti (2009). Le poesie dell’autrice di Parole sono state di recente anche molto tradotte.

Marco Marchi

Confidare

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.

8 dicembre 1934

Antonia Pozzi

(da Parole)

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