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Firenze, 12 maggio 2016

Per quante notti che insonne ho giaciuto

Per quante notti che insonne ho giaciuto,
per l’orror di levarmi, ogni mattina;
tu buona, tu mia dolcissima Lina;
tu dimmi in carità: Come hai potuto?

Però che tutto io ti perdono quanto
soffersi, tutte le mie insonni notti,
i miei sogni agghiaccianti, i sogni rotti
d’un subito; ma dimmi ora, sorella:
come hai potuto tu con la tua bella
faccia, di tanta nobiltà soffusa,
serbar sí addentro quell’infamia chiusa
nel cuore, adulterare i baci e il pianto,
mentirmi ogni carezza, in tuo pensiero
esser non mia, vivendo a me d’accanto?
Ecco il delitto, il solo, il grande, il vero
delitto, che non posso io no scordare,
che senza fine mi farà odiare
me stesso, maledire anche il tuo nome,
chiedermi ognor piú follemente: Come,
come ha potuto?

Ma questo, ed altro che mi taccio, no,
non può esser vero: è solo un sogno, sai;
è un sogno di cui forse morirai,
è un sogno di cui certo io morirò.

Umberto Saba

(da Nuovi versi a Lina, 7, in Il canzoniere)

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