VEDI IL VIDEO “Alba” letta da Vittorio Gassman , “L’assiuolo” , Da “Il Fanciullino” , Miniantologia pascoliana

Firenze, 8 luglio 2016 – Sul protettivo «nido» familiare e il tormentato, ambiguo e sostanzialmente ambivalente rapporto intercorso tra Giovanni Pascoli e le sorelle Maria e Ida all’indomani della morte del padre, con molta acutezza Mario Luzi ha scritto: «Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto.

Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all’infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli.

In pratica il Pascoli difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo ricovero, ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Garfagnana dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura» (M. Luzi, Giovanni Pascoli).

Ma da queste ambiguità e da queste ambivalenza riassunte nell’immagine-simbolo del «nido» – un’immagine, appunto, di afferenza anch’essa eminentemente naturale, derivata da un mondo squisitamente animale, anteriore ad ogni umana qualificazione e responsabilità adulta di tipo culturale – nasce la grande poesia di Pascoli.

Anche un testo tutto da rileggere e assaporare come Alba ci immette esemplarmente in questi territori «regressivi»: territori in apparenza dimissionari, umili e come dicevamo ambigui, ma oltremodo densi di implicazioni, impegnativi. Come se Pascoli, anche immaginando la pace, il bene e perfino un nuovo avvio della creazione, continuasse ad affidarsi alla propria memoria costellata di sventure e cose rimaste inesplicate, ma nel far questo redigesse un’attendibile, veridica storia del mondo. Una storia che continua, misteriosa e intimamente palpitante.

Marco Marchi

Alba

Odoravano i fior di vitalba
per via, le ginestre nel greto;
aliavano prima dell’alba
le rondini nell’uliveto.
Aliavano mute con volo
nero, agile, di pipistrello;
e tuttora gemea l’assiolo,
che già spincionava il fringuello.
T
ra i pinastri era l’alba che i rivi
mirava discendere giù:
guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
virb… disse una rondine; e fu
giorno: un giorno di pace e lavoro,
che l’uomo mieteva il suo grano,
e per tutto nel cielo sonoro
saliva un cantare lontano.

Giovanni Pascoli

(da Myricae)

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