Firenze, 30 settembre 2016 – E’ il poeta russo Arsenij Tarkovskij, padre del celebre regista Andrej, il trionfatore di questo mese nella gara delle nostre “Notizie”. Una bella vittoria, inattesa ma assolutamente giustificata dalla bellezza del componimento che ha dato luogo al post premiato che qui si ripubblica, L’estate fuggita di Arsenij Tarkovskij.

Un’affermazione suffragata peraltro non solo dalla quantità, ma dalla qualità (ma questo è ormai un dato ricorrente solo sottolineabile) dei vostri commenti. Tra essi, stavolta, segnaliamo indicativamente quelli di framo, Matteo Mazzone e tristan51. Rispettivamente: “‘Scende la sera, i campi diventano azzurri, la terra orfana. Chi mi aiuta ad attingere l’acqua dal pozzo profondo? Non ho nulla, ho perduto tutto lungo il cammino. Dico addio al giorno, incontro la stella. Dammi da bere’ (da ‘La culla’). Parole di un passante sensibile e irrequieto, come noi. Eppure chi le pronuncia non è un viandante qualsiasi. Alla finitezza umana e del mondo, al flusso inesorabile della storia e agli scacchi del destino, lui, eppure, è riuscito a sottrarre e a trattenere stati intensi di esperienza sensoriale, sprazzi di benessere e quiete, bagliori di gratitudine e di matura accettazione, spazi simbolici di rara bellezza (la foglia che, posandosi, si trasfigura in farfalla, o in altra mano, o in stella …). Pause terrestri di rarefatta sospensione … oasi troppo esigue di incorrotta natura (‘non sono bruciate le foglie, non si sono spezzati i rami’). Troppo poco e troppo effimero, però, per placare la sete di un viaggiatore inquieto e solitario che necessita di una sempre più inattingibile sorgente d’acqua profonda. Meravigliosa“; “Una poesia come saggio della vita che muta di stagione in stazione: dalla tenue e sottaciuta primavera, da sempre tempo di nascita, di vita tenera ed appena affacciatasi nel principio di realtà, alla poi sua strutturazione, ora salda e invincibilmente sicura, esemplificata nel periodo estatino, al tramonto tardo e lento di questa in autunno, fino alla sparizione innegabile, alla glaciazione marmorea, funerea, rappresentata dall’inverno. Ma ora é la maturazione del poeta che lo spinge ad interrogarsi su di una vita passata – ‘la vita mi prendeva’ – dove l’uso dell’imperfetto, come tempo del non ritorno, del compiuto e del non più già attuabile, segnala il suo definitivo congedo da una realtà esistenziale certa ed indubbia. Eppure ancora il germe del dubbio e della meditazione, metaforicamente rappresentata dall’autunno (‘non sono bruciate le foglie’) e dall’inverno (‘non si sono spezzati i rami’), sembra tardare, quasi come se l’autore volesse posticipare, per scaramanzia, una condizione che già si presenta segnata da tappe individuate ed individuabili: la sera pascoliana come tramonto e vecchiezza, l’inverno celaniano come rigida nera danza della morte. Dalla formosa e panica estate dannunziana, alla sua mite e sofferta conclusione in Tarkovskij“; “La poesia, la musica, l’arte, ma anche la natura…. Con i loro imprevisti miracoli, con le loro soggioganti seduzioni e i loro risarcimenti. Ma purtroppo, come giustamente dice Madame Merle a Isabel Archer nel ‘Ritratto di signora’ di Henri James, ‘ci sono momenti in cui nemmeno Schubert può dirci qualcosa’. Arsenij Tarkowskij registra da par suo, in poesia, queste evenienze nefaste, queste deficienze e queste dolorose amputazioni della balenata pienezza, queste rotture dell’idillio”.

Al secondo posto della nostra classifica settembrina la poesia di Amelia Rosselli con i fantastici versi tratti da La libellula di I fiori di Amelia Rosselli; al terzo un ex aequo che abbina, ancora un po’ inaspettatamente, a un classico “osso breve” montaliano come Forse un mattino andando… (Montale e gli uomini che non si voltano) le poesie da Invettive e licenze e Morte segreta del dimenticato Dario Bellezza (Dimenticato Dario Bellezza). Bello questo tandem alla pari tra un grandissimo, universalmente acclamato Nobel per la letteratura novecentesco e un poeta ingiustamente rimasto, nel quadro della poesia contemporana, un po’ in ombra!

A domani, con nuovi poeti e nuovi testi, e grazie della vostra fedeltà al blog!

Marco Marchi

L’estate fuggita di Arsenij Tarkovskij

VEDI I VIDEO “È fuggita l’estate” di Arsenij Tarkovskij, da “Stalker” di Andrej Tarkovskij , “È fuggita l’estate” in russo , … e cantata da Sofia Rotaru , “Morire in levità , “Primi incontri”, da “Lo specchio” di Andrej Tarkovskij , Andrej Tarkovskij parla del cinema e del padre Arsenij

Firenze, 7 settembre 2016

E’ fuggita l’estate

E’ fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Ne’ il bene ne’ il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Арсений Тарковский

Вот и лето прошло,
Словно и не бывало.
На пригреве тепло.
Только этого мало.

Все, что сбыться могло,
Мне, как лист пятипалый,
Прямо в руки легло,
Только этого мало.

Понапрасну ни зло,
Ни добро не пропало,
Все горело светло,
Только этого мало.

Жизнь брала под крыло,
Берегла и спасала,
Мне и вправду везло.
Только этого мало.

Листьев не обожгло,
Веток не обломало…
День промыт, как стекло,
Только этого мало.

Arsenij Tarkovskij

(1967)

I VOSTRI COMMENTI

Duccio Mugnai
Una registrazione dolorosamente ossessiva della vita che se ne va, in specifico dell’immagine più suggestiva della fine dell’età felice dell’esistenza. L’estate ancor brucia sulla pelle, eppure qualcosa è definitivamente perduto, come l’innocenza, l’amore o l’età dele illusioni, di cui è profondamente intessuta la poesia, cioè la giovinezza. Tema ricorrente in tutta la letteratura come nell’animo appassionato di ogni essere umano.

Perdindirindina
Forse in questo periodo dell’anno proprio questo fa male: il fatto che la fine dell’estate ci fa provare sulla nostra pelle, come un memento mori velato ma non per questo meno presente, che la fine è lì, ad attenderci al varco, e che quella magnifica danza che ci aveva travolti e rapiti con il suo vorticoso flusso vitale si dilegua in un attimo. E nulla può restituirci lo slancio e l’energia di ciò che è stato.

Daniela Del MonacoL’estate è fuggita via in un attimo, portandosi dietro tutte le aspettative, le attese, le speranze di ciò che poteva essere e che è rimasto inesorabilmente incompiuto. La poesia di Tarkovskij è pervasa da questo sentimento di nostalgia, tipico della condizione umana di non appagamento dovuto alla nostra esistenza finita, limitata che rende la vita una corsa estenuante verso una soddisfazione irraggiungibile.

trista51
La poesia, la musica, l’arte, ma anche la natura…. Con i loro imprevisti miracoli, con le loro soggioganti seduzioni e i loro risarcimenti. Ma purtroppo, come giustamente dice Madame Merle a Isabel Archer nel “Ritratto di signora” di Henri James, “ci sono momenti in cui nemmeno Schubert può dirci qualcosa”. Arsenij Tarkowskij registra da par suo, in poesia, queste evenienze nefaste, queste deficienze e queste dolorose amputazioni della balenata pienezza, queste rotture dell’idillio.

m
“Io ogni giorno del passato, come una puntellatura, / con le mie clavicole ho sostenuto, / misurai il tempo con la catena dell’agrimensore / ed attraverso esso sono passato, come attraverso gli Urali.” (Vita, vita).

Isola Difederigo
Una delle voci più alte del nostro tempo, lirica e tragica come una profezia che celebra l’incompiutezza della vita e la sua “immortalità”.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
L’inesorabilità e la caducità del tempo, la bellezza luminosa ma non consolatoria della natura, l’impossibilità di trascendere la limitatezza umana e, nello stesso tempo, l’incapacità di accettarla: nella poesia di Tarkovskij è espressa tutta la tormentata condizione dell’uomo che aspira all’assoluto senza poterlo raggiungere,

Marco Capecchi
Niente e nulla basta a chi vive di desideri.

Paolo Cerato
La tesi fondamentale della poesia regge su due proposizioni: la foglia a cinque punte e la ripetizione finale di ogni strofa. “Eppur questo non basta”. La foglia a cinque punte è quella dell’acero un albero altissimo che cresce, seguendo una verticale perfetta, per cercare la luce mancante nel sottobosco di montagna. La foglia rappresenta i sensi che ci permettono di gioire della vita, di amarla. Quando in autunno la foglia cade e secca, appare come in un’altra esistenza questa volta misteriosa, arcana che non comprendiamo ma che il poeta sente più bella (l’ultima strofa), l’essenziale non viene distrutto. Il poeta sente che dopo ci sarà qualcosa di meraviglioso ma che non descrive, forse non può. È una poesia bellissima, ricca di speranza, ascetismo e misticismo.

framo
“Scende la sera, i campi diventano azzurri, la terra orfana. Chi mi aiuta ad attingere l’acqua dal pozzo profondo? Non ho nulla, ho perduto tutto lungo il cammino. Dico addio al giorno, incontro la stella. Dammi da bere” (da “La culla”). Parole di un passante sensibile e irrequieto, come noi. Eppure chi le pronuncia non è un viandante qualsiasi. Alla finitezza umana e del mondo, al flusso inesorabile della storia e agli scacchi del destino, lui, eppure, è riuscito a sottrarre e a trattenere stati intensi di esperienza sensoriale, sprazzi di benessere e quiete, bagliori di gratitudine e di matura accettazione, spazi simbolici di rara bellezza (la foglia che, posandosi, si trasfigura in farfalla, o in altra mano, o in stella …). Pause terrestri di rarefatta sospensione … oasi troppo esigue di incorrotta natura (“non sono bruciate le foglie, non si sono spezzati i rami”). Troppo poco e troppo effimero, però, per placare la sete di un viaggiatore inquieto e solitario che necessita di una sempre più inattingibile sorgente d’acqua profonda. Meravigliosa. Grazie.

Matteo Mazzone
Una poesia come saggio della vita che muta di stagione in stazione: dalla tenue e sottaciuta primavera, da sempre tempo di nascita, di vita tenera ed appena affacciatasi nel principio di realtà, alla poi sua strutturazione, ora salda e invincibilmente sicura, esemplificata nel periodo estatino, al tramonto tardo e lento di questa in autunno, fino alla sparizione innegabile, alla glaciazione marmorea, funerea, rappresentata dall’inverno. Ma ora é la maturazione del poeta che lo spinge ad interrogarsi su di una vita passata – “la vita mi prendeva” – dove l’uso dell’imperfetto, come tempo del non ritorno, del compiuto e del non più già attuabile, segnala il suo definitivo congedo da una realtà esistenziale certa ed indubbia. Eppure ancora il germe del dubbio e della meditazione, metaforicamente rappresentata dall’autunno (“non sono bruciate le foglie”) e dall’inverno (“non si sono spezzati i rami”), sembra tardare, quasi come se l’autore volesse posticipare, per scaramanzia, una condizione che già si presenta segnata da tappe individuate ed individuabili: la sera pascoliana come tramonto e vecchiezza, l’inverno celaniano come rigida nera danza della morte. Dalla formosa e panica estate dannunziana, alla sua mite e sofferta conclusione in Tarkovskij.

Lorenzo Dini
Il poeta è, per vocazione, sempre spinto in avanti da una forza oscura e amica. Non si accontenta delle risposte ordinarie sull’esistenza, non si accontenta delle gioie effimere. E’ destinato a varcare sempre un confine.

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