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Dirò una cosa che per alcuni è, ancora oggi, una bestemmia: Pasolini è uno dei massimi poeti (e sottolineo poeti) del Novecento.
tristan51
“Lingua e stile! Ma io / con un uomo in carne e ossa, / con una vera croce di legno, / con dei chiodi veri, / e – vorrei – con vero sangue e vero dolore, / evocherò la realtà. / La realtà che evoca, lo so, assomiglia / – assomiglia soltanto – alla vera realtà evocata: / ma è a sua volta una realtà” (“Bestemmia”).
Maria Antonietta Rauti
Glicine: meraviglioso aggrappamento al profumo della vita che fa sorridere, ma anche piangere. Pianta ricercata dal Poeta, emblema dell’esistenza, con il suo colore, nell’esistenza di un tempo individuale difficile da vivere e condividere, ma che Pasolini amava tanto da aggrapparsi fortemente ad essa… Riuscendo a sconfiggere foscolianamente il tempo della vita grazie alla scrittura in versi…
Matteo Mazzone
A buon ragione, Marchi ricorda un Pasolini che affonda il bisturi nel proprio corpo e nella propria persona, facendo della sua affilata ed oltranzistica «autoanalisi» un’«autopsia»: a Pier Paolo non rimane, ancora una volta, che combattere, gettando il corpo nella lotta: ora è questo sbiadito soggettivismo, questa mordace ma dolce rabbia poetica e telegrammatica, che nasconde, appannandolo, tutto il male di vivere vissuto in questa tiritera di “miserabili giorni”. Un sapore, un’eco pascoliani che donano una virtuosistica ma spenta vitalità, un’incertezza caduca e mortifera, stritolante com’è la natura del glicine, nel suo atto di avvinghiare, anche sensualmente, il sostegno sul quale si poggia. E tutta la vita di Pasolini poggia su di un piedistallo instabile, su di un anello che non tiene: la rimembranza, la commemorazione di una vita non invitta che si manifestano dall’odore profumante dei fiori del glicine. Così Bigongiari: “E i cani spenti di una festa delirano/ di viola se grappoli di nulla/ pendono giù a un oriente”; l’oriente della rinascita, che Pier Paolo ha conosciuto.
Duccio Mugnai
Vedo nel “glicine” di Pasolini una dolorosa, non voluta, trasposizione mimetica con l’esorbitare inarrestabile della natura, implacabile risorsa di vita e di morte, nella sua generosa mobilità di dono crudele e furto macabro. Così è il profumo “oscuro” del glicine che ricorda al poeta sessualità e decomposizione, inesorabile testimonianza di una forza primigenia e trascinante, ormai non più afferrabile, già non più, ormai, Trilogia della Vita, ma condanna, strada oscura verso gli Inferi, da cui non si può risalire, perché, morbosamente “pascoliano”, il sesso rivela l’altro lato inquietante della sua creatività in negativo, ormai distruzione e denigrazione di ciò che era impatto vitale e appariva falsamente rigenerativo.
Isola Difederigo
Ha abitato il mondo diviso tra «passione e ideologia», tra le ragioni del corpo e quelle della storia, ha conosciuto lo scandalo della morte affidando a un non-sapere testamentario il voto della sua innocenza, della sua aurorale castità annunciata ad un Pasolini diciannovenne dall’insorgente «gusto della vita e del realismo». Fiorirà e sfiorirà per lui la poesia in forma di rosa, l’esperienza esaltante e dolorosa di creazione e caduta del linguaggio; ma intanto è aprile, mese topico per Pasolini, e a rinascere è il glicine con la sua perenne promessa di resurrezione, con il suo profumo inebriante e sensuale, figura della poesia.
Marco Capecchi
La ginestra di Leopardi, il glicine di Pasolini, la speranza disperata e l’esistenza stroncata, il rinascere della natura e gli abissi del vivere. Due poeti immensi che differentemente riflettono sul rapporto tra vita e senso dell’esserci.
giacomotrinci
Tra Leopardi e Gramsci: lo strappo gracile del corpo, straziato tra pessimismo della ragione e ottimismo della volontà, o meglio di una vita che, ostinatamente e ciecamente “risorge” da se stessa, dalla propria mortalità apparente. La forma “ragionante” data alla poesia in questa fase della poetica pasoliniana apre fratture, ospita ferite che si faranno col tempo vieppiù spalancate, aperte, fino a sgombrare il campo dalla Poesia “poetica” degli esordi friulani, e dalla poesia in generale “poetata”. Un genio del “disabitare”, una forma dell’eresia che guarisce, attualmente, dalla velenosa, tossica sete del conformismo.
Sabina C.
Il glicine rapisce, cattura, invade, pervade, si avviluppa, flessibile, irrefrenabile, si espande, con rinnovata e sinuosa grazia. E stordisce la sua inebriante fragranza,che smaschera, mette a nudo prepotentemente mistificazioni e autoinganni, stronca!
framo
Da Poesie incivili: “(…) glicine! /(…) felice / te, che sei solo amore, gemello vegetale,/ che rinasci in modo prenatale.” La crepa si sta facendo voragine, inutile opporsi. Vano tenersi aggrappati a pareti scalcinate di sovrastrutture vacillanti, a pericolanti conquiste da uomini postmoderni sul viale di un tramonto più che inoltrato. “Caduchi rampicanti” del nostro misero tempo, non dobbiamo piu’ temere di cedere al brivido del “chiarore” e del “buio che c’è prima”. Pur con rabbia e nostalgia, lasciamoci sedurre da una voce che risuona così vitale e significativa. Che la nostra afona parola, se non rinata, almeno riesca un po’ rinvigorita … più non resti suono inascoltato e tramortito, “represso gemito/ di cui non si sa, di cui non si dice”. Grazie.
Laura Diafani
Mai fiore appare così violento e puro insieme, fragile (“caduco”) e irresistibile insieme: un’aggressione tumultuosa inevitabile e inondante, che ridicolizza come pavida e inefficace l’autodifesa – “a puntellare lo scostrato intonaco / del mio nuovo edificio”.
Elisabetta Biondi della Sdriscia
Dissidio tra natura e ragione, tra istinto vitale – e brutale – a sopravvivere, addirittura a rinascere, e costruzione razionale, politica e filosofica, che fragile si scrosta come un intonaco invecchiato. Puntellarlo non serve, non basta, tutto crolla, l’intonaco caduco si distacca, fragile illusione, mentre la vita continua, nell’alternarsi degli anni e delle stagioni, grazie alla forza vitale della natura e deile sue pulsioni. E come il glicine ha una sua disperata bellezza, un suo profumo. Grazie Pier Paolo.
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