Maria Grazia Ferraris
Personalmente ritengo Mario Luzi, il più precoce, produttivo e colto dei poeti ermetici. Considero il suo libro migliore, “Nel magma”, uscito nel 1963, dove la ricercatezza “verticale” del suo stile e il suo spiritualismo (esistenzialistico) lo hanno spinto sempre più verso una poesia cosmica, che aveva origine forse nella sua formazione tardosimbolista. La sensibilità di Luzi tende ad ingrandirsi e sublimarsi, a sollevarsi da una nebbia opaca, di inerzie e disattenzioni, da un labirinto di allusioni e metafore nobili , sollevandosi in volo verso l’inconoscibile, tra l’astratto e il concreto, il quotidiano e il celeste . Ne è esempio la poesia, notissima, Alla vita.. “Amici ci aspetta una barca e dondola/ nella luce ove il cielo s’inarca/ e tocca il mare”. Amici – dalla barca si vede il mondo dalla barca – .Un invito dal reale all’ ideale. Dolcezza e Speranza. Coltissima poesia con echi danteschi, in quella invocazione agli amici…, che recuperando il tono colloquiale, quasi magicamente approda alla sua formazione cristiana.
30 aprile 2017 – E’ il post dal titolo La barca e il fiume. Mario Luzi il post più commentato ed apprezzato del mese di aprile. Con una poesia giustamente celebre come Alla vita, che sigla insieme l’inizio della carriera letteraria del poeta e una sorta di stringatisimo compendio di poetica valido per le successive tappe di un percorso artistico prolungato e fervidissimo, Luzi ha primeggiato su altri poeti in gara davvero di grande spessore. Al secondo posto del podio, ex aequo, 25 Aprile con Alfonso Gatto e La Pasqua di Zanzotto. Medaglia di bronzo, ancora alla pari e con l’affermazione giustissima ma un po’ inaspettata del poeta svedese Premio Nobel Tanströmer in coppia con il grande Betocchi, a Auguri di Pasqua con Carlo Betocchi e L’aprile silenzioso di Tomas Tranströmer.
Ed ecco ora una terna dei vostri commenti: tra quelli luziani di aprile scegliamo quelli di Duccio Mugnai, framo e giacomotrinci. Rispettivamente: “L’invito ad amare la vita è tanto forza contemporanea quanto prezioso lascito antico. Ci si richiama al Dante delle Rime, a ‘Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io’, dove sostanza e fibra naturalissima dell’esistenza sono l’amore e l’amicizia. Lo spazio ideologico e poetico della ‘barca’ diventa così ‘la lirica’ stessa, luogo di elezione, per assaporare veramente l’esistenza con cuore, sensi ed intelletto. L’approccio lirico al vivere è prospettiva diversa a cui si aspira e che, una volta raggiunta, propone una continua visione trasfigurante, dove gli aneliti essenziali dell’esistere trovano chiave di risoluzione, misteriosa, eppur semplice e disvelante, nella ‘Madonna dagli occhi trasparenti’, ‘la voce materna, senza origine’, che raccoglie il cumulo dei dolori, dei morenti, e par che tutto rinasca“; “Sentire profondo e sguardo rarefatto – ‘senza origine’, ‘senza profondità’ – qui si compenetrano. Per rara, primaria intuizione fondamentale, al dondolare sospeso in corsa di questa bella barca, ‘voce materna’ – cullagrembo ormai sopita -, orizzonte speculativo e creativo, grazia espressiva e sapienza costruttiva tengono ben salda la rotta, mai paiono oscillare. E da esseri sprofondati nel ‘silenzio della terra’, a cui, purtroppo, oggi del tutto sfugge una simile visione che consoli, avvertiamo come non possa lasciare indifferente quell’iniziale e/o finale volo pazzo di creatura“; “Dalla ‘barca’, la vita; ma, anche, dalla vita la barca. In questo tornare alla ballata medievale, il giovane Luzi crea la sua dantesca vita nova, con la musica accogliente di questi versi che sembrano sgranare da decasillabo a endecasillabo il naturale svolgersi di un mondo tornato nuovo, per occhi incantati disposti ad incontrarlo. Si leggono, oggi, con commozione viva questi versi; se si pensa, poi, alla grande pienezza di canto che è costituita dalla lunga, successiva stagione poetica di Luzi, che spiega tutte le ragioni di un incantamento fisico e religioso insieme alle vicissitudini di un mondo che ci porta, fiume eterno, con sè, oltre sè. Da tutta la vita di dopo, questa barca, da Cavalcanti e Dante, ci aspetta ancora: tenace come l’attenzione e l’amore“. Ma belli, in tanta dovizia di pronunciamenti e pareri suscitati dai versi di Luzi, anche quelli di Elisabetta Biondi della Sdriscia, Isola Difederigo e Matteo Mazzone.
Buona letture e riletture a tutti e buoni ascolti, e a domani con una nuova serie di poeti e di post!
Marco Marchi
La barca e il fiume. Mario Luzi
VEDI I VIDEO “Alla vita” letta da Francesco Manetti, da “In Toscana. Un viaggio in versi con Mario Luzi”, documentario di Marco Marchi, regia di Silvia Folchi e Antonio Bartoli (film completo) , “Natura” , “Dalla torre” , Tre poesie: “Aprile-Amore”, “La notte viene col canto” e “Prima di sera”
Firenze, 5 aprile 2017 – Grazie alla Regione Toscana, che in occasione del centenario luziano del 2014 promosse e sostenne la realizzazione del documentario qui proposto nella sua completezza in allegato, Mario Luzi sarà qui con noi. Sarà qui, con la sua voce, con la sua poesia, immerso in quegli scenari fra terrestre e celeste che hanno costruito lo sfondo più familiare e quotidiano e insieme più misterioso e implicante della sua esistenza. Una geografia interiore, interiorizzata, pronta a riconvertirsi in fisicità e insieme in sigla di un’oltranza, in emblema di un senso recondito che a starci attenti traspare; tanti luoghi e tanti paesaggi in bilico tra natura e cultura, ripercorsi con lui, con la sua parola, in un cammino disponibile per sua intrinseca vocazione ad annullare troppo netti confini tra ciò che è e ciò che è stato. E un viaggio che segna piuttosto, ad ogni tappa del suo procedere, una confluenza, un esserci dinamico ed osmotico, di continuo variante e precipitante in se stesso, goccia dentro goccia di una liquida sostanza, proprio come accade per l’acqua dei fiumi di Luzi: fiumi promossi dalla sua opera, com’è noto, a indici di valore primario di una docenza naturale che insegna il permanere mutando, che accorda miracolosamente la trasformazione e il mutamento alla intangibilità consistente, noumennica e seducente, dell’essere.
Proprio nel nome di quei fiumi che fin dai tempi della Barca siglano il dipanarsi, il riconfermarsi e il progressivo evolversi della poesia di Luzi, mi rifaccio ad un titolo della sua vasta bibliografia: Discorso naturale. Il titolo vale ovviamente in senso proprio per una silloge di scritti critici luziani sulla poesia, ma alla poesia, ad una complessiva concezione della poesia inveratasi in testi straordinari, più che alludere punta direttamente. Un titolo rivelatore a valenza allargata, utile in senso retrospettivo, come cifra riassuntiva di un intero cammino. Basta tornare a provarlo, ridicendosi soltanto alcuni celebri versi della Barca – «una verità che procede / intrepida, un sospiro profondo / dalle foci alle sorgenti» (Alla vita, la nostra poesia del giorno) –, per ritrovare subito quel «discorso naturale» attivo, precocemente impostato e fin da allora magnificamente suffragato dagli esiti in parola di una registrazione: la registrazione di una «fisica perfetta» che tende misteriosamente a comunicare, a lasciarsi cogliere oltre ogni apparenza, oltre ogni superficie del visibile in cui pure prende forma, secondo la quale si plasma e si modella, nella quale, parte di una unitaria vicenda di «morte e ricominciamento», si incarna.
Si ripensa con forza all’epigrafe giovannea che Luzi volle adottare, mezzo secolo dopo La barca per la sua raccolta del 1985, Per il battesimo dei nostri frammenti – «In lei – la parola – era la vita; e la vita era la luce degli uomini» –, e gli spazi elettivi rivendicabili alla poesia di Luzi appaiono di nuovo, chiari, nitidamente necessari, «naturali». Si recupera insomma con facilità nel primo Luzi come in quello più tardo, pervenuto a libri come Dottrina dell’estremo principiante o come il postumo Lasciami, non trattenermi, il medesimo poeta: quello appena ventenne, come dicevamo, che rivolgendosi alla vita e cantando inaugura per via di trepide scoperte e partecipazioni quasi adolescenziali il suo discorso naturale, e quello solidamente maturo e ultimo che interroga con indomito rigore e sapienza i fondamenti della vita: fondamenti, verrebbe di dire, oggi tragicamente minacciati e soggetti a pesanti violazioni in atto, forse andati irrimediabilmente perduti, polverizzati e dispersi, oscurati del tutto.
Una parola, quella odierna, forse morta. Si respirava, al contrario, nella parola combaciante del principio; era lo specchio infallibile, mobile ed unitario, in cui la dominazione e l’intelligenza delle cose si garantivano a vicenda. Si arretra nel tempo e oggi quei pezzetti di verità caduti per terra, ridotti a poltiglia appannata, anacronistica e incapace di rifrazioni significanti, sembrano non interessare più nessuno. Sono incalchi dimenticati: suoni inerti, significanze obliterate e ammutolite, violentemente deprivate di umana espressione, di un qualificante sigillo, di un certificato di discendenza.
Credere nella poesia, per Luzi, è stato soprattutto credere nell’ulteriorità della creazione, a un movimento naturale che non si arresta e a cui è impossibile sottrarsi, pena la sottrazione dall’autentico, dalla riconoscibilità stessa del nostro – personale e collettivo – destino nel mondo. È una fedeltà a sfondo religioso, che presuppone un disegno segreto, nobile e solenne. Ed è una storia che – per via di sofferenza e di risarcimenti, ma anche per via di scelte e contributi partecipativi responsabili – incarica l’uomo, e non certo esclusivamente per fargli contrastare, per una sorta di pentimento o di malevolo paradosso, una distruzione inesorabilmente in atto, la smentita di un’origine e i progetti di perfettibilità ad essa connessi: storia e natura, natura e cultura, su di una stessa linea, in una medesima prospettiva, o se volete, tornando ai versi del libro d’esordio, in uno stesso alveo, nel recupero di quel «sospiro profondo» che si diffonde a ritroso «dalle foci alle sorgenti», pronto a ripercorrere ad ogni istante il cammino inverso, a sussumerlo e ribaltarlo in sé, in ogni tratto della sua molecolare direzionalità di cosa libera e nel contempo, attimo dopo attimo, obbediente.
L’accusa all’uomo d’oggi è schiacciante: l’«umanità», il suo impegnativo contrassegno specifico costituito dalla parola, latita. E tuttavia la speranza non ha mai abbandonato la poesia di Luzi, il suo «discorso naturale» – drammatico e passato per mille prove, drammaticamente culturale ed esatto – è un discorso all’interno del quale l’uomo può deludere ma rimane rilkianamente responsabile di un destino parallelo a quello della naturalizzazione: l’umanizzazione.
A ripercorrere l’intera opera di Mario Luzi questa complessa dialettica tra uomo e mondo si riscopre continuativamente efficiente: naturalmente intrinseca, propulsiva, vitale. Talché in un suo bellissimo quanto poco noto intervento del 1994 intitolato La voce della poesia nella sostanza del mondo – l’autore poteva legittimamente concludere, mettendo la sua testimonianza e le sue ipotesi accanto a quelle di altri poeti italiani novecenteschi a lui contemporanei, da Zanzotto a Giudici, a Sanguineti: «Ci si domanda a che cosa serve la poesia. Quando uno si pone questa domanda, è perduto alla poesia. La poesia può servire ed essere inutile, essere inutile e servire. A che? A sentire fino in fondo l’enigma della vita, nel suo bene e nel suo male».
L’irresistibile fascino di Luzi si irradia per me da queste pertinenze e secondo queste modalità. Ed è bello immaginare adesso – proprio come fin dall’inizio del nostro cinematografico «viaggio in versi con Mario Luzi» accade –, uniti nell’ascoltare la voce di un grande poeta, i luoghi di una vita che proprio grazie a quelle parole che li hanno espressi, significati e insieme elevati ad una significanza maggiore e inaspettata, davvero fra terra e cielo, non si arresta. Anche a quei luoghi, pronti a trasformare in simboli ed allegorie come pure a ricondursi alla primordiale originarietà degli elementi, Mario Luzi ha concesso quella «vita al quadrato» che l’arte concede a un artista proprio perché, essendo quella «vita al quadrato» cosa sua e non sua, a tutti ne faccia dono, con tutti la condivida. Ed è così che Luzi, vigile e premuroso, affabile e profondo come lui sapeva essere, è rimasto al nostro fianco: a rassicurarci, a farci sentire senza infingimenti e senza paure il drammatico ed esaltante «enigma della vita», ad insegnarci ancora, da una barca sull’acqua, a «vedere il mondo».
Marco Marchi
Alla vita
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s’inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d’Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.
Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che procede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d’aspettare l’avvenire.
Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s’alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
Mario Luzi
(da La barca, 1935)
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