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Firenze, 14 giugno 2017 – Ricordando che il 14 giugno 1986 moriva a Ginevra il grande Jorge Luis Borges.

Ha scritto Maurice Blanchot: «Sospetto Borges d’aver trovato l’infinito nella letteratura. Non voglio insinuare che ne abbia solo una coscienza tranquilla, attinta dalle opere letterarie; intendo dire che l’esperienza della letteratura è, forse, fondamentalmente affine ai paradossi e ai sofismi di ciò che Hegel, per escluderlo, chiamava cattivo infinito.

La verità della letteratura risiederebbe nell’errore dell’infinito. Il mondo in cui viviamo, quale noi lo viviamo, è per fortuna limitato. Bastano pochi passi per uscire dalla nostra camera, pochi anni per uscire dalla nostra vita. […]

Borges, uomo essenzialmente letterario, è alle prese con la cattiva eternità e la cattiva infinità, le sole forse che ci è dato sperimentare, fino a quel rovesciamento glorioso che si chiama estasi. Il libro in linea di massima è il mondo per lui, e il mondo è il libro. […]

Il mondo e il libro si rimandano eternamente e infinitamente le loro immagini riflesse. Questo potere indefinito di riverberazione, questo scintillante e illimitato moltiplicarsi che è il labirinto della luce e che peraltro non è un nulla, sarà allora tutto ciò che troveremo, vertiginosamente, in fondo al nostro desiderio di capire». (M. Blanchot, L’infinito letterario: l’Aleph, da Il libro a venire, 1959).

Marco Marchi

Le cose

Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapranno mai che ce ne siamo andati.

(traduzione di Francesco Tentori Montalto)

Las cosas

El bastón, las monedas, el llavero,
la dócil cerradura, las tardías
notas que no leerán los pocos días
que me quedan, los naipes y el tablero,
un libro y en sus páginas la ajada
violeta, monumento de una tarde
sin duda inolvidable y ya olvidada,
el rojo espejo occidental en que arde
una ilusoria aurora. ¡Cuántas cosas,
limas, umbrales, atlas, copas, clavos,
nos sirven como tácitos esclavos,
ciegas y extrañamente sigilosas!
Durarán más allá de nuestro olvido;
no sabrán nunca que nos hemos ido.

Jorge Luis Borges

(da Elogio dell’ombra, Einaudi, 1971)

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