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Firenze, 17 agosto 2017 – Quarantatre anni fa, in una Roma assolata e desertica, il 17 agosto 1974 moriva Aldo Palazzeschi, all’anagrafe Aldo Giurlani. Nella capitale – lui fiorentino doc, classe 1885, poi sepolto secondo sue esplicite volontà nel cimitero di Settignano, paese sulle colline di Firenze dove i Giurlani avevano una villetta – si era stabilito da tempo. E quell’andarsene per sempre in una Roma immensa, torrida e chiusa per ferie deve essergli sembrato non del tutto inadatto al suo destino di scrittore solitario per vocazione: di scrittore che stando da solo confessava di non annoiarsi mai, di scrittore che del deserto aveva fatto lo scenario culminante di uno dei suoi libri più genialmente scandalosi e sconcertanti, La Piramide.

Il senso della morte e il dolore avevano in realtà assediato Palazzeschi fin dagli anni della giovinezza: una giovinezza – ancora secondo sue ammissioni – «turbata e quasi disperata», alla cui fuoriuscita avevano poi contribuito in modo sostanziale l’esercizio della scrittura e attraverso di essa la scoperta del comico. E proprio attraverso il comico anche da vecchio Palazzeschi aveva potuto firmare versi paradossali e irriverenti come quelli di Anche la morte ama la vita, in cui con inesausta originalità si immagina la nera signora che macabramente danza, rassicurandolo, con il morituro di turno: «Stai pur tranquillo» / ti sussurra in un orecchio / «che non sono tanto brutta».

Ma a fugare la morte di Palazzeschi resta la sua arte, attraverso un’opera letteraria ampia e meravigliosa, in versi e in prosa, senza la quale il nostro Novecento sarebbe stato senz’altro un’altra cosa: qualcosa di sicuramente più povero.

Marco Marchi 

L’assolto

Allor che i miei buoni fratelli
m’avevan due volte sepolto,

disse una voce:
(io non so come e dove).

“Assolto. Mancanza assoluta di prove”.
Si apersero tutte le porte,
si apersero tutti i cancelli.

“Assolto!”

Io sono “l’assolto”
miei cari signori,
e ora che sono fuori
guardatemi bene in viso:
ho ucciso?

“Assolto!”

È la mia professione,
che intendo bene di sfruttare
dal suo lato migliore.

“Assolto!”

Appena uscito
mi accorsi subito
qual era il miglior partito.

Fuggire?
Nascondersi agli occhi della gente?
Macché!

Sottrarsi alla sconcezza
del dubbio ch’io rivesto?
Macché!

Rivestirlo dignitosamente
o con disinvoltura?
Macché! Niente, niente!

Esibirsi, senza misura,
generosamente.

Gli è perciò ch’io frequento le strade,
il passeggio, i teatri, il caffè,
come ogn’altr’uom non assolto:
certe volte mi diverto poco…
certe altre molto…
né più né meno di lui o di te.

Si sa che color che incontrandomi
intrecciavan col mio bei sorrisi,
vedeste ora che visi…

che visi mi fanno!
E che voci sorprendo dai crocchi.
Vedeste che occhi!

– Un innocente si scolpa.
– E un farabutto lo stesso.
– Ha taciuto, ecco tutto.
– Ha taciuto come un innocente.
– Ha taciuto come un farabutto!
– E gli errori?
– Questi sono gli errori,
i delinquenti sono tutti fuori!

Entro per tempo in teatro,
prendo possesso della mia poltrona
con molto sussiego.

Mi volgo, mi chino, mi spiego;
mi lascio ammirar giro giro
con aria da Dio.

E se certi visi si spostano
resta inflessibile il mio.

Per i primi venti minuti
lo spettacolo lo do io.

“Bella che stai puntandomi
attraverso la lente
dell’occhialino,
dimmi, mio bel musino,
mi desideri innocente,
o mi desideri assassino?”

Un signore là indietro,
dai posti distinti,
macina lesto fra i denti:
“Sul trono, sul trono i briganti!”

E un altro:
“Guardate che ghigna stasera,
facciaccia da galera!”

Quando s’alza il sipario
divento anch’io
un umile spettatore,
come lui,
negli anfratti ritorno un poco attore,
eppoi ancora spettatore come te, come tutti gli altri.

E se dopo all’uscita qualcuno mi aspetta,
io esco pian pianino
senza nessuna fretta.

Poi vado al caffè.
Finché c’è gente sveglia nella città
resto a sua disposizione,
nessuno dev’essere defraudato
nella legittima curiosità,
sono un galantuomo
nella mia professione.

E non crediate ch’io sia tardivo
ad escir fuori al mattino, macché!

bisogna pensare che il mattiniero
ha gli stessi diritti del nottambulo cittadino.


“Assolto!” Può sembrar poco… e può sembrar di molto.

Guardatemi bene in viso:
ho ucciso?

Aldo Palazzeschi