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L’antico gioco di Fabio Pusterla

VEDI I VIDEO  "Antico gioco, o frammento d'utopia letta dall'autore""La mia gente" "Le pietre nere" , Fabio Pusterla parla di "Cenere, o terra" e legge testi dalla raccolta , Incontro con il poeta

Firenze, 27 novembre 2025 Poeta, saggista, traduttore, Fabio Pusterla è nato a Mendrisio nel 1957. Laureato in Lettere all’Università di Pavia, vive e lavora tra la Lombardia e la Svizzera, dove insegna lingua e letteratura italiana al Liceo cantonale e all’Università di Lugano.

Il suo esordio poetico risale al 1985 con la silloge Concessione all’inverno (Casagrande), segnalandosi subito fra i poeti italiani più interessanti della sua generazione. Seguono numerose raccolte, per la maggior parte edite da Marcos y Marcos: Bocksten (1989), Le cose senza storia (1994), Pietra sangue (1999), Folla sommersa (2004), Corpo stellare (2010), Cocci e frammenti (2011), Argéman (2014), Nella luce e nell'asprezza (2015), Ultimi cenni del custode delle acque (2017), Variazioni sulla cenere (2017), Cenere, o terra (2018), Truganini (2021), Tremalume (2022). Nel 2009 è uscita presso Einaudi un’antologia della sua opera poetica Le terre emerse. Poesie scelte 1985-2008, cui ha fatto seguito Da qualche parte nello spazio. Poesie 2011-2021 (Le Lettere 2022). Di recente Pusterla ha pubblicato le prose fantastiche di Sinsigalli (con gronchi, carrubi e mestizzi) (puntoacapo 2024).
Della sua produzione critica si ricordano i volumi Il nervo di Arnold. Saggi e note sulla poesia contemporanea (2007), Una goccia di splendore. Riflessioni sulla scuola (2008), Colori in fuga (2011), Quando Chiasso era in Irlanda (2012), Una luce che non si spegne. Luoghi, maestri e compagni di vita (2018).
All’esercizio poetico Pusterla ha affiancato un’intensa attività di traduzione di autori francesi e portoghesi, e tra essi Philippe Jaccottet, di cui ha firmato la prefazione al volume Oeuvres della Bibliothèque de la Pléiade (2014). Ha inoltre curato l'antologia della poesia francese contemporanea Nel pieno giorno dell'oscurità (Marcos y Marcos, 2000). Tradotto in varie lingue, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio Montale, il Premio Schiller, il Premio Gottfried Keller, il Premio Dessì e il Premio Carducci. L'anno scorso è stato il vincitore del Premio internazionale Carlo Betocchi-Città di Firenze.
“La ricerca poetica – ha scritto il poeta – mi sembra in grado di stabilire un rapporto profondo con la realtà; anzi, mi pare che una caratteristica peculiare del linguaggio poetico sia appunto quella di mostrare come ciò che definiamo realtà sia il risultato di un incrocio di forze divergenti, ciascuna delle quali mette in campo una serie di rapporti complessi e spesso contraddittori”. La scrittura e il reale a confronto, dunque, e a confronto sotto la lente rigorosa, duttile e intransigente, solida e cangiante, affidabile e attenta ma ogni volta aperta ad ogni forma di verifica, di quello che riassuntivamente potremmo definire uno sguardo critico sul mondo di cui è parte: uno sguardo intimamente predisposto e per sua natura vocato a registrare tra angoscia, vertigine, smarrimento e nostalgia «le cose senza storia», un paesaggio sommerso, memoriale e affettivo, segnato dal degrado e ciò nonostante capace di rilasciare dalle sue ferite e macerie dolorosamente accumulate il riflesso lucente di un’umana, inobliabile e resistente speranza. “Si sale alla poesia – come dicono alcuni suoi versi – da un lago alto, / in solitudine di corvidi. Ma è una poesia / moderna, d’acqua ingabbiata in dighe, / acqua d’altra rapina, argini osceni / esposti, tubature interrate. Tuttavia il lago esiste / e dalla sua cupezza parte a volte / un riflesso di luce, quasi un grido” (da Tramalume).
E' proprio a questo discrimine che prende forma, nel variare delle modalità sperimentate e messe in atto nel corso di un lungo itinerario, l’esercizio poetico di Pusterla, diciamo pure il suo più cogente riconoscimento esistenziale.
Marco Marchi

Antico gioco
o frammento di utopia

Quello che spia, quello che ghermisce
annusa il suo trionfo. Tutti o quasi
ha chiuso nello sbarro e solo scruta
subdolo l’ultima preda fuggiasca
forse tremante nel folto
e smarrita. Si aggira felpato
con occhio di vespa e di drone
attende al varco certo
di sé e degli altri
padrone.

Ma da una forra erompe
alle sue spalle involontario l’eroe
cuore in gola e speranza
semiluce boschiva e mano tesa
verso l’albero d’aspra scorza
verso la tana del mondo dove urlare
con tutta la forza la voce
il salvitutti gioioso
che libera dall’incubo,
la fragile utopia che non finisce.

*

Nell’afa

I cervi, nell’arsura
di questo luglio d’afa,
scendono nottetempo al lago a bere.
Escono dai boschi verticali
prendono una valletta dirupata
e arrivano al Profondo,
dove un po’ d’anni fa
una donna aveva scelto di sparire per sempre,
certo non senza segrete ragioni e dolori,
riermergendo un mattino bianchissima
gonfia accanto a una barca ormeggiata
fra le alghe.

Lì i cervi bevono a lungo e forse guardano
lungamente quell’acqua che appena sciaborda
sotto di loro, muta. Ma uno, maestoso,
deve una notte aver sbagliato
senza colpa percorso:
l’hanno visto i vicini che entrava
nel nostro giardino deserto. Poi, tentando
di risalire alla strada si è incagliato
con le corna nelle sbarre del guardrail
ed è rimasto a scuotere frenetico la testa
per lenti interminabili minuti. Un passante
non ha osato intervenire, impaurito, e infine il cervo
con un ultimo scossone si è strappato
da quella trappola oscena, è corso via
in lieta ritrovata nobiltà,
salendo al folto.

Sui tetti corrono le faine ebbre di luna
con strida di gioia o d’inquietudine.

*

Acqualuce

Due che si incrociano
camminando lungo un torrente ammutolito
ciascuno verso il suo dove faticoso, in senso inverso,
su rotte divergenti, oppositive, intersezioni negate.

L’acqua sta sotto invisibile i muri
il traffico adunghia la strada. Nel saluto
quasi impacciato c’è una luce momentanea
un’acqualuce insonne sotto parole non dette.

Poi le sbarre si richiudono
ognuno continua il suo andare.
Il corridoio del dovere conduce
al suo deserto mare.

*

Altopiano dei fuggiaschi

                          A Pascal Riou e Sarah Brunel

Che animale sei
quanti denti hai?

Quali prede vuoi
come squarterai?

Quando arriverai
mi nasconderò.
 

Se mi troverai
io ne morirò.

*

Non mancano i motivi della fuga.
Mai mancati.
Chi ha perso tutto chi non ha più niente
esce per strada e scappa.
Su secca terra o mare, in un ventre di lupo,
per aspre vie e selvagge
sempre sentendo cupo venire il galoppo
dietro le spalle, di quelli che arrivano armati
montando draghi e cinghiali,
incubi truci.

*

Ma qui la terra è umida, sicura,
nera la storia ha insegnato certe cose.
Ugonotti, bambini ebrei, tutto un paese
che accoglie, che nasconde lungo i secoli
per boschi e per ghiacciaie
dentro caverne o nei cuori,
provando a essere giusti, a non tradire.

Sull’altopiano dei fuggiaschi
forse nacque La peste sotto ruote di nibbi.
Poco lontano una chiesa romanica
ammette ogni preghiera e nessuna religione.
A ognuno il suo racconto inenarrabile
a ognuno la sua parte di fatica, la sua croce.

Fabio Pusterla

(da Tremalume, Marcos y Marcos, 2022)

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