Dove ti porta la Musa. Albisani nella ‘valle delle visioni’
VEDI I VIDEO Sauro Albisani legge suoi versi da "Terra e cenere" , Carlo Betocchi parla di Albisani
Firenze, 27 dicembre 2012 – Articolo pubblicato su "La Nazione" del 27 dicembre 2012.
Ecco le 'Visioni' di Albisani: il mondo ritrova la speranza, con la poesia
Per un soffio non si è aggiudicato il super “Premio Viareggio” settore poesia di quest’anno (vinto, come si sa, da Antonella Anedda con Salva con nome), ma hanno a suo tempo creduto nel suo talento fiorentini illustri che sono stati presenze autorevoli del nostro Novecento letterario: primo fra tutti Carlo Betocchi – di cui Sauro Albisani da giovane fu amico ed allievo –, e poi Mario Luzi e Luigi Baldacci. E come i veri poeti e scrittori sui quali ha affinato il proprio dono, Sauro Albisani non ha mai inseguito le mode, andando invece dove la sua Musa lo portava, ignaro di altre forme di attrazione che non fossero quelle di un’obbedienza alla propria ispirazione.
A dieci anni da Terra e cenere, Albisani ha pubblicato nella collana di poesia di Passigli La valle delle visioni e il libro assume il carattere di un consuntivo: quelle parole e non altre, quei versi e non altri, per fornire l’impegnativo ritratto di sé a contatto con il mondo. Ed ecco, testo dopo testo, la testimonianza di un «io» cangiante pronto a scindersi in personaggi, maschere e voci: disposto, per mettersi a fuoco, a trasferirsi in altre vite ed a rappresentarle.
Molti anni fa, nel 1985, fui tra i primi estimatori di Sauro Albisani in un’antologia edita da Vallecchi. Da allora la sua poesia ne ha fatta di strada, ma ha costantemente riconfermato la sua capacità di cogliere nelle vicende del quotidiano il loro segreto: il montaliano “miracolo” e con esso un richiamo alla speranza. Attraversando una valle non solo di lacrime, ma di stupefacenti visioni.
Marco Marchi
Quasi all'alba
Avevo un'idea che mi frullava in testa
ma poi ho sognato di fare l'amore
senza troppo svegliarti, solo un po'.
Quella poesia ha fatto l'amore con te,
è entrata nel tuo sonno.
E' già scritta così,
nessuno deve leggerla.
Sempre parlando
E se dovesse poi esserci qualcuno ad accogliermi,
anche se non ci credo; ma se
dovesse esserci, dopo essersi nascosto
ovunque e in nessun luogo;
e se io potessi parlare, se in quel luogo
continuasse a esistere una lingua,
voglio dire una lingua condivisa;
se finalmente la poesia
fosse la lingua parlata
e davvero io potessi confessarmi, anche come chi piange
e parla, ma senza paura
finalmente, e senza speranza;
se mi venissi risposto ti ascoltiamo
forse riuscirei, dopo un po’,
a smettere di piangere
ripensando al silenzio delle nuvole,
al silenzio della mia infanzia;
non chiederei: chi sei tu;
Chi sono io, chiederei;
Chi sono io, questo chiederei.
Solo questo.
Un nome fra tanti
Nel cimitero di Ronta
c'è una lapide
con l'epigrafe
che mia madre mi chiese di scrivere
quando nel loculo
fu sepolta la nonna.
Quando non ci saremo più
quella lapide andrà in pezzi
e le ossa nell'ossario comune
e queste e quelli in terra
nel sonno unanime, nella pace vera.
Sia benedetta la vita
nella sua inermità.
Volevo dire questo:
la terra è piena di parole
illeggibili, impronuncibili, ma non importa.
Sia benedetto dio,
se anche lui è inerme.
Sauro Albisani
(da La valle delle visioni, Passigli 2012)
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