Il calcio si guardi allo specchio. E impari.
Lo ammetto: nell'Italia sportiva non esiste solo il calcio. Sembra strano, lo so. Sembra strano anche due giorni dopo il V-Day, che non è di certo la giornata organizzata da Beppe Grillo per mandare tutti a quel paese, a tenere banco siano sempre il calcio e le sue polemiche. Il V-Day, giorno dello scudetto della pallavolo maschile, il giorno di Vigor Bovolenta. Nella giornata in cui la Lube Banca Macerata vinceva lo scudetto e l'Itas Diatec Trentino lo perdeva anche a causa di due errori arbitrali, i tifosi di entrambe le squadre ricordavano Vigor Bovolenta, pallavolista morto durante una gara a 37 anni. Nella stessa giornata, allo stadio Marassi di Genova un gruppo di imbecilli ordinava ai giocatori del Genoa di togliersi maglia e pantaloncini perché non degni di vestire quella maglia - peraltro avevano perso, malamente per carità, ma non avevano di certo fatto un sabbah di streghe attorno a quelle divise - e contemporaneamente seppur distrutti e prostrati da questa richiesta del tutto idiota i calciatori avevano eseguito quell'ordine. Da una parte persone, prima che tifosi, civili che soffrono e gioiscono - l'ho provato, vi assicuro che ogni punto è una sofferenza e nella pallavolo di punti ce ne sono davvero tanti - per uno spettacolo a cui stanno assistendo, dall'altra degli animali, prima che persone e per favore non osiamo neanche definirli tifosi, che pensano che ogni cosa sia loro dovuta e che stanno prendendo parte a una giornata in cui una squadra di loro proprietà deve assolutamente comportarsi come loro desiderano.
Un abisso, verrebbe da pensare. Peccato che il calcio - sono tifosa da almeno 25 anni, cinque dei quali passati allo stadio, non rinnego la mia fede - sia un fenomeno di massa, mentre la pallavolo sia per "pochi" eletti. Pochi, poi. Parliamone: finale scudetto di pallavolo femminile fra Villa Cortese (sì sì, cercatelo bene su wikipedia perché è un paesino di poco più di seimila abitanti nell'Altomilanese) e Busto Arsizio (proprio quella Busto Arsizio che ha circa 80mila abitanti e che in tanti hanno definito in passato la "Manchester d'Italia"), PalaYamamay di Busto, circa cinquemila spettatori. E i brividi quando vedi che tutti, bambini e anziani compresi, cantano e applaudono per la propria squadra. Sanno tutti i canti a memoria, nessuno che sia offensivo nei confronti dei rivali. Quando una giocatrice avversaria fa punto non le si indirizzano insulti, ma si grida "noooo" e si pensa che forse sarebbe meglio aggiustare il muro o la ricezione. E, soprattutto, quando un'avversaria si fa male ed esce dal taraflex la si applaude. Tutti. "Devi morire, devi morire" sono cori da stadio che assolutamente sono banditi dai palazzetti dello sport. Probabilmente anche perché le giocatrici sono ragazze normali, avvicinabili. Sono Ramona, Luna, Cate (Puerari, Carocci e Bosetti del Villa Cortese. E' la squadra che conosco meglio) e non Del Piero, Ibra o Milito. Quanti bambini ho visto seduti per terra a gambe incrociate nei palazzetti. Negli stadi avrebbero rischiato, nell'ordine, di essere schiacciati, di trafiggersi con il vetro di bottiglie abbandonate o di subire pesanti insulti. Il discorso più semplicistico sarebbe: "Per forza, il calcio lo seguono in tantissimi e ci sono tante mele marce. La pallavolo è uno sport di nicchia e quindi ci va solo chi è realmente interessato". Questo è il problema: nel calcio molti non sono interessati a vedere la partita, ma vogliono semplicemente creare scompiglio, sfogarsi per una vita che non dà loro ciò che vuole, sfidare le forze dell'ordine. Chi segue una partita di pallavolo (o di basket, di rugby, di football americano, una gara di arti marziali, di boxe, insomma di sport di nicchia. Parlo della pallavolo perché è la realtà che conosco di più da questo punto di vista) non ha voglia di rovinarsi e rovinare agli altri una serata per creare scompiglio. Altro aspetto: dedicare la finale di un campionato ad un atleta. Nel calcio al massimo lo si farebbe per uno sponsor. Domenica avrebbe potuto essere il "Moro-day", si sarebbe ufficialmente potuto ricordare Piermario Morosini (senza retorica almeno per una giornata) morto appena una settimana fa durante una partita. Eppure non lo si è fatto. Lo si è ricordato, certo. Il mondo del calcio ha dimostrato qualche momento di sensibilità, senza dubbio. Gli scontri di Genova hanno però dimostrato come l'inciviltà abbia la meglio, sempre e comunque. I tifosi battuti nella finale scudetto del V-Day mai avrebbero pensato di creare scompiglio proprio in quella giornata.
E se per caso, per un puro caso un giorno qualcuno che nella vita si occupa di calcio, ne mastica tutti i giorni, chessò un dirigente qualsiasi si svegliasse la mattina e dicesse " Forse è il caso che iniziamo a guardarci attorno. Forse è il caso che siano le società a porre dei freni. Forse è il caso che si decida di insegnare ai ragazzi delle giovanili la cultura del rispetto dell'avversario prima che il tocco ad effetto su punizione, di insegnare ai tifosi che se sbagliano pagano davvero e non soltanto con due partite a porte chiuse"? Se per caso qualcuno decidesse di importare spontaneamente certe usanze di rugby, pallavolo, basket nel calcio? Se il calcio si guardasse allo specchio non per vedere la nuova acconciatura o la Porsche nuova fiammante di un calciatore, ma per capire che in questa direzione non si può continuare?