Meglio iniziare dalla fine. Perché quando Morrissey canta “Everyday is like Sunday” e uno pensa a dove è cresciuto, Manchester, dove il cielo è sempre bigio, capisce anche perché ai tempi d’oro quella città dalle brume inglesi la ribattezzarono “Madchester”. C’è qualcosa di magico. Di folle. Morrissey ha provato a scappare. Ma se non ci fosse stata Manchester non ci sarebbero stati gli Smiths. E tutto sarebbe ora decisamente più triste. Quello di Bologna dell’altra sera (il 17 ottobre) è il quarto concerto del tour italiano che si è aperto – come è lecito credere conoscendo il personaggio – come il suddetto Morrissey si augurava. I cartelli di Roma sul divieto di entrare al concerto con la carne hanno fatto in fretta il giro dell’Italia e della Rete. E “Meat is murder” non poteva che essere una perla che si incastona a perfezione nel concerto che Moz regala. Meglio che non l’abbia riservata per il finale. Il messaggio era già passato. Perché le immagini ripetute in maniera ossessiva sui maltrattamenti agli animali avevano già fatto breccia nel pubblico. Non lancia fiori come una volta. Non c’è bisogno. Ci si accontenta che in quell’oretta e mezza scarsa di concerto, in cui il tipo in questione si concede, regali qualche scheggia del passato. E così nessun cuore ingrato si sente in dovere di invocare un classico degli Smiths. Quella è storia vecchia. Chiusa a doppia mandata nel cassetto dei ricordi, compreso qualche strascico giudiziario sui diritti delle canzoni. D’altronde lui e Johnny (Marr) sono stati chiari: niente reunion. Frase che si sente pronunciare, a oltranza e in alternanza dall’uno e dall’altro, ogni qualvolta (più o meno con cadenza annuale) si torna a vociferare di una reunion appunto. Morrissey si è (auto)costruito per farsi adorare. Non ha avuto nemmeno bisogno, come il suo concittadino Ian Brown (Stone Roses), di cantare una canzone come “I wanna be adored”. Lui non vuole essere adorato. Lui è già adorato. Anche per i suoi vezzi da rockstar. Irriverente non solo nei confronti dei reali ma anche con quel mercato discografico. Il suo ultimo disco è rimasto appena due settimane nei negozi, poi lui l’ha ritirato. Divergenze con l’etichetta discografica. E’ così: vuole il pieno controllo delle cose. Soprattutto quando si parla di musica. Per questo, pur vestendo maglioncini griffati quando è in borghese, è da considerarsi il più indie (nel senso stretto del termine e quindi indipendente) dei cantanti. Tutto il resto è voce. E non è poco, a cinquantacinque anni, pur con qualche incrinatura, è in grado ancora di trapassarti da parte a parte, di provocare la pelle d’oca e di dire che il tempo passa, ma Morrissey resta. Morrissey (è) per sempre.