MAI SFIDARE le grandi sorelle del petrolio. Lo sapeva Enrico Mattei, ma il padre dell’Eni e del “Giorno” preferì, comunque, andare avanti nella sua battaglia e, per combattere il cartello del greggio, ci rimise pure la vita. Probabilmente, si sono ricordati di quelle vicende i solerti funzionari del Ministero degli Interni che, in maggio, hanno spedito in bocca al nemico la moglie dell’esule e dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, assieme a sua figlia, perché ritenevano che il passaporto della donna fosse falso. Eppure, qualche dubbio avrebbero dovuto averlo, considerando che il governo kazako aveva, addirittura, fatto arrivare a Roma un aereo privato per recuperare la preziosa merce. Adesso, di fronte alla montante marea delle proteste sollevate dal web, l’Italia cerca di correre ai ripari, con la retromarcia di Letta che reclama il ritorno in Italia della signora e della sua bambina, mentre desta qualche dubbio la posizione del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che giura di non avere mai saputo nulla della vicenda, prima degli ultimi sviluppi.

SUL FRONTE internazionale, dopo la storia dei marò in India, ecco, dunque, la nuova figuraccia italiana: quando ci sono di mezzo l’oro nero e il business, ci trasformiamo in agnellini perché, per noi, restano fondamentali gli interessi economici e le battaglie umanitarie passano, facilmente, in secondo piano. Non dimentichiamo, infatti, che proprio l’Eni è uno dei principali partner commerciali del presidente kazako Nursultan Nazarbayev e ha un ruolo di primo piano nell’estrazione del gas del Mar Caspio. Nella primavera di due anni fa, ho fatto parte di una delegazione di parlamentari europei dell’Osce – in missione nella capitale del paese, Astana, per verificare la regolarità delle elezioni presidenziali – e ho, quindi, toccato con mano la doppia velocità del Kazakistan: da una parte, una nazione, grazie alle copiose rendite petrolifere, protagonista di una vertiginosa crescita economica; dall’altra, un Paese governato da vent’anni da un regime forte e, politicamente parlando, ancora arcaico. Due facce di una realtà molto complessa. Prendiamo, appunto, il caso delle elezioni: assieme ad un deputato (scomparso, purtroppo, l’anno scorso), il marchigiano Massimo Vannucci, avevo visitato un paio di seggi elettorali. Soprattutto in uno, avevamo notato alcune irregolarità: una signora, in particolare, votò diverse schede, in maniera palese, nell’indifferenza generale. Segnalammo l’episodio al presidente del seggio che, quasi per farci un piacere, annullò le schede contestate. Massimo ed io ci chiedemmo: ma quanti altri brogli ci saranno stati? In compenso, la Pravda del Kazakistan pubblicò, all’indomani, una foto di noi due al seggio. Nessuno ci tradusse il testo dal cirillico, ma non ci voleva molto a capire il senso dell’articolo: ecco i parlamentari europei, gendarmi della democrazia, che controllano la regolarità delle elezioni. Se questo è il lato più discutibile del gigantesco Paese asiatico, ho visto anche cose che mi hanno stupito, suscitando la mia ammirazione. Astana, che è stata costruita dal nulla come Brasilia, è una città modernissima. Edifici futuristici progettati dalle migliori “archistar” del mondo (compreso il nostro Renzo Piano), avenues che farebbero invidia anche a Parigi, segnali di un paese che è già proiettato verso il domani. C’è pure una piramide nel deserto, nel senso di un Palazzo innalzato proprio come una piramide: il simbolo della potenza del Kazakistan fondata sul petrolio. Per l’appunto.
[email protected]