QUANDO SI DICE la giustizia in Italia. In questa calda estate di polemiche, non c’è soltanto il caso-Berlusconi ad infiammare il dibattito. Almeno il Cavaliere un regolare processo l’ha avuto, con tanto di sentenza. Ciò che è successo a Cortina d’Ampezzo è, per certi versi, più clamoroso perché il sindaco della perla delle Dolomiti, Andrea Franceschi, è stato spedito all’esilio senza neppure un verdetto di primo grado. Il primo cittadino ancora in carica di Cortina non può più mettere piede nella sua città per evitare il rischio di “una reiterazione del reato”. Me lo racconta lo stesso Franceschi nella sua Sant’Elena (ha appena superato il giro di boa dei cento giorni d’esilio), che è San Vito di Cadore. Andrea, eletto per la seconda volta nel 2012 alla guida di una lista civica, è stato indagato (badate bene: solo indagato) per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e violenza privata. A leggere i capi d’imputazione, Franceschi che, nel frattempo, ha scritto pure un libro sulla sua storia, si sarebbe macchiato di colpe gravissime.

IL SINDACO non lancia accuse alla magistratura, si limita ad osservare che la giustizia è, in Italia, troppo lenta. E aggiunge: «Mi sembra di essere su “Scherzi a parte”, tanto la situazione è assurda». La vicenda ha, in effetti, aspetti sconcertanti: il numero uno dell’amministrazione cortinese ha chiesto ad una funzionaria del Comune, che poi è stata rimossa dall’incarico e che ha dato il “la” al pasticcio, di abbassare la base d’asta su un bando di gara che riguardava il controllo dei rifiuti. Da quell’invito perentorio, discutibile finché si vuole, è cominciato tutto, intercettazioni telefoniche comprese.

SEI MESI DI CONTROLLI che hanno fatto emergere un’altra, presunta, irregolarità: una telefonata al capo dei vigili urbani in cui il sindaco chiedeva al comandante di spegnere un’autovelox, perché aveva ricevuto tantissime proteste. Tutto qui: nessun tornaconto personale. Ma è stato sufficiente per mandarlo prima agli arresti domiciliari e poi all’esilio forzato. Con tanti disagi: «Non ho potuto partecipare, neppure, ai funerali di un mio amico di Cortina». Per carità di patria, preferisco non entrare nei meandri dei cavilli giuridici. Dico solo – e già questo fatto taglia la testa al toro – che non c’è più il rischio di “reiterazione di reato” per la semplice ragione che un provvedimento recentissimo ha trasferito alla Provincia di Belluno proprio quei controlli sulle gare d’asta assegnate, in precedenza, ai Comuni. Anche se volesse, Franceschi non potrebbe, quindi, più combinare guai. Perché, allora, deve continuare la sua forzata lontananza sulla presunzione del bis di un possibile reato che non potrà, comunque, più commettere?
Senza contare che l’esilio è la classica foglia di fico: non è in grado di presenziare ai consigli comunali, ma i suoi assessori, a cominciare dal vice-sindaco, possono sempre tenerlo informato. Una situazione che è davvero paradossale. Non si sa ancora quando ci sarà il processo, mentre la Cassazione si pronuncerà in ottobre sull’esilio. Franceschi ha scritto un’accorata lettera a Napolitano, ma dal Quirinale non è arrivata nessuna risposta. Un rimedio ci sarebbe: le dimissioni dalla carica, ma non lo farà, perché – dice – è, nel frattempo, diventato il paladino di tutti i sindaci che si sentono dimezzati nelle loro funzioni. Non entro neppure nel merito delle questioni sul potere delle varie “lobbies” cortinesi, edilizie e non, che hanno fatto diventare Franceschi un sindaco scomodo. Chiedo solo al presidente della Repubblica d’intervenire: senza sindaci nel pieno delle loro funzioni, la democrazia è azzoppata. Alla fine, Franceschi mi scrive la dedica al suo libro in dialetto locale: “Mai zede!”, “mai cedere!”. Sono d’accordo con lui.

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