MOLTI GIORNALI, in queste settimane, hanno ricordato, alla luce degli ultimi sviluppi su Expo e Mose, i vent’anni trascorsi da Tangentopoli, notando come, in questi quattro lustri, tutto sia cambiato per restare esattamente come prima. Anche molti registi di affari & mazzette di allora sono gli stessi (vedi alla voce Greganti e Frigerio) delle trame di oggi. Come gli ufficiali della Marina borbonica, in Italia si fa “ammuina” per poi lasciare, sempre, le cose come stanno.

In questi giorni, i mass media non hanno, invece, scritto nulla su una vicenda che risale a quarant’anni fa, altrettanto esemplare e drammatica: il crac di Michele Sindona, storia emblematica della “mala-finanza” italiana. Il 28 settembre 1974, la Banca Privata Italiana crollò, ma già quattro mesi prima era scoppiato il caso della Franklyn Bank di New York, controllata sempre dal banchiere siciliano. Il finanziere di Patti era appena stato eletto “uomo dell’anno 1973” e premiato dall’allora ambasciatore americano a Roma.

A CHI MAI IMPORTAVA che facesse pure parte del consiglio d’amministrazione della Cisalpina Overseas Nassau Bank assieme a Calvi, Gelli e all’arcivescovo dello Ior, Paul Casimir Marcinkus? Qualcuno avrebbe dovuto nutrire qualche dubbio sull’operato dell’uomo e, invece, chi sapeva preferì tacere.

OGGI ci scandalizziamo degli incestuosi intrecci tra malaffare e finanza, ma, di fronte alle vicende di quarant’anni fa, – e non è certo un motivo di conforto – c’é quasi da rabbrividire. Pensate proprio a Sindona, alla sua scalata al mondo del credito, ai suoi amici, ai collegamenti strani fino al crac della Banca Privata Italiana, all’incriminazione come mandante dell’omicidio del liquidatore della banca, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, alla sua estradizione dagli Stati Uniti e alla morte in carcere per un caffè al cianuro. Anche allora c’erano strane connivenze tra il mondo della finanza, il Palazzo e la malavita organizzata, però, in quegli anni, operavano anche uomini politici capaci di rovesciare il tavolo: Ugo La Malfa, allora ministro del Tesoro, rifiutò, ad esempio, di concedere l’aumento di capitale della Finambro, la finanziaria del Gruppo Sindona.

ANCHE OGGI ci vorrebbero uomini dello Stato come, appunto, il vecchio leader repubblicano, o “grand commis” come Ambrosoli, o banchieri della levatura di Carlo Azeglio Ciampi che subentrò a Paolo Baffi alla guida della Banca d’Italia, per cercare di rimettere il Paese in carreggiata. Mi sembra che non facciamo mai tesoro delle lezioni, anche recenti, dell’Italia e, ogni giorno che passa, rifletto che siamo un popolo senza memoria del passato e, anche per questo, incapace di cambiare davvero.
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